Page 340 - Shakespeare - Vol. 1
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mangia e si beve sregolatamente, dalle condutture di Londra esce vino
rosso, ma, soprattutto, «tutto il reame sarà in comune e il mio palafreno /
pascolerà a Cheapside» (IV, ii). Cade si fa beffa di tutti, sventolando la sua
falsa genealogia, e i suoi compagni si fanno beffa di lui. Ma non si può
ignorare la serietà delle sue esortazioni, quando, ancora in IV, ii, egli
rivendica la dignità degli esseri “inferiori” (come le donne, osserva Marilyn
French): «Ora fate vedere che siete uomini, in nome della libertà. / Non
lasceremo vivo un solo lord, un solo nobile».
È vero che, sopprimendo archivi e denunciando i pericoli della scrittura e
dell’insegnamento, Cade collabora al progetto di obliterazione della
memoria storica, a cui tende anche York, ma non va dimenticato quanto
sia spregiudicato e parziale l’appello alle virtù del passato messo in bocca a
Clifford (IV, viii), che tira in ballo le vittorie di Enrico V e agita lo
spauracchio nazionalistico di un’invasione dei Francesi: «Mi pare già di
vederli, in questo conflitto civile, / spadroneggiare per le strade di
Londra...». Certamente Clifford “vede” i temibili nemici: essi sono davanti a
lui, la gente comune del Kent, coloro di cui Cade ha detto: «Noi siamo in
ordine, quanto più siamo disordinati» (IV, ii). Perciò a ragione, in questi
ultimi anni, è stata riesaminata l’interpretazione una volta favorita, che
considerava Shakespeare alieno da qualsiasi simpatia per la plebe, a cui
semmai spetterebbe, nella seconda parte dell’Enrico VI, di concorrere alla
rovina dello stato favorendo con il suo comportamento irresponsabile
l’avvento della guerra civile. Le voci dei popolani, seppure
fondamentalmente comiche, introducono una genuina carica sovversiva,
fatta di esigenze materiali, di fantasie millenaristiche, di conti da saldare,
di prepotenze subite e da rimandare al mittente. Simulando la regalità,
Cade la dissacra e la riduce a una farsa carnevalesca, ma afferma
l’esigenza di una giustizia che non interessa minimamente alla corte
d’Inghilterra. Né, in punto di morte, Cade smentirà la sua genuina
vocazione di rappresentante della «gente del Kent». È opportuno quindi
rilevare nel IV atto la molteplicità delle istanze popolari che riflettono la
disorganicità del mondo nobiliare (P. Pugliatti), il «radicalismo politico» del
messaggio (M. Hattaway), l’attenzione di Shakespeare alla situazione
contemporanea (A. Patterson), l’analogia della rivolta di Cade con quella di
Caliban “colonizzato” da Prospero (F. Laroque).
Di fatto, il Paese di Cuccagna esaltato da Jack Cade ha tutte le
caratteristiche di una festa di sangue; eppure, in questo senso, esso viene
assorbito implacabilmente dallo scenario della guerra civile, che irrompe
ne l V atto. Il cruento carnevale prosegue, con il suo apparato di teste
mozzate da esibire come trofei. Morti Gloucester, Winchester, Suffolk,
Cade, non rimane che un patetico reuccio, al quale si può consigliare solo