Page 335 - Shakespeare - Vol. 1
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generale, si proclamano assurdi “re per un giorno” nell’anti-mondo di Jack
Cade. Accanto alle donne sovversive che rinascono dalle ceneri della
Pulzella, essi costituiscono, più delle antagonistiche casate nobiliari, un
coro turbolento e vitale, che il drammaturgo sguinzaglia sulla scena con
intenzioni tragicomiche. È stato osservato che la seconda parte dell’Enrico
VI richiede un cast particolarmente numeroso di attori. Una simile
moltiplicazione di ruoli risponde alla volontà del drammaturgo di portare
alla massima frantumazione la struttura delle vicende storiche, attraverso
l’atomizzazione delle interpretazioni della vicenda, di cui ognuno diviene
esegeta a modo suo, al di là di qualsiasi resoconto ufficiale: anzi, come
insegna la rivolta di Cade, peggio per chi sa leggere e scrivere, per chi apre
scuole e compila documenti.
Alla fine del dramma, si delinea il paradosso che verrà sviluppato nella
terza parte della trilogia: un re incapace di recitare con competenza la sua
parte viene affiancato da un nuovo sovrano. Chi sia il legittimo monarca e
chi sia l’usurpatore non è chiaro. Basta rivolgersi all’una o all’altra delle
fazioni in lotta. Nessuno gode di un consenso generale. La plebaglia, in
preda alla gioia sfrenata di un carnevale di sangue, è impazzita, ma
neppure i re scherzano e si accusano a vicenda di insubordinazione, di
simulazione, di illegittimità. «Re falso», grida Riccardo di York a Enrico,
gettando la maschera del suddito rispettoso, e Clifford ribatte, rivolgendosi
a lui, «Rinchiudetelo in manicomio. Ma è impazzito?» (V, i).
Si è parlato in precedenza del palcoscenico della seconda parte dell’Enrico
VI come di un mattatoio. Si può visualizzare sulla scena anche Bedlam, il
manicomio di Londra, dove dei poveri malati si sforzano, con risultati
grotteschi, di recitare una parte che non si addice a nessuno di loro: quella
del re d’Inghilterra.
Donne sovversive e popolani ribelli
Le prime due scene della seconda parte dell’Enrico VI sono caratterizzate
dalla presenza di forti figure femminili: dopo la nuova regina, Margherita
d’Angiò, fa la sua comparsa Dame Eleanor, moglie del duca di Gloucester,
che in sogno ha visto Enrico e Margherita inginocchiati davanti a lei, «e
posero il diadema sul mio capo» (I, ii). La corte d’Inghilterra, lungi
dall’essere esclusivamente un consesso di rudi guerrieri, appare dominata
da due donne, altrettanto brave nel parlare e nel dissimulare, oltre che da
un damerino capace di cantare il fascino muliebre (Suffolk). Sia il mite re
Enrico che il vigoroso e patriarcale Gloucester trovano nella rispettiva
controparte femminile un’insidia contro cui non è possibile alcuna difesa.
Entrambi sono all’oscuro del tradimento della consorte: alla relazione