Page 333 - Shakespeare - Vol. 1
P. 333

dell’Enrico VI, perderà la vita su un «molehill», una gibbosità del terreno
che è appunto il risultato del lavorio di una talpa).
Suffolk voleva essere re. York ritiene di essere il più adatto a recitare quel
ruolo. Secondo Eleanor, nella seconda scena dell’atto I, il marito Humphrey
dovrebbe cingere la corona. Il seme della guerra civile è piantato. Il
drammaturgo ne delinea alcune delle tappe salienti e intanto rimescola le
carte di una gerarchia nobiliare che non si riconosce più nell’ubbidienza alla
dinastia Lancaster. Gli aspiranti re si fanno avanti nel vuoto della memoria
storica, ma ogni tentativo di recitare il ruolo del monarca è destinato ad
apparire ambiguo e incerto, come se fosse interpretato da un cattivo
attore, che non riesce a dare credibilità alla propria interpretazione.
Partecipa di questo fallimento il «weak king», il debole Enrico, trattato con
disprezzo anche dalla moglie, credulone e più adatto a svolgere la funzione
d’un prete (mentre, paradossalmente, non c’è chi sia meno religioso del
Cardinale Winchester), con la bocca piena di precetti evangelici, intimorito
di fronte a York, perfino incapace di difendere con successo lo zio
Gloucester, senza il cui sostegno egli è ridotto all’impotenza e a una sterile
autocompassione. Secondo Michael Manheim (The Weak King Dilemma in
the Shakespearean History Play, 1973), egli è il re debole ma pio descritto
da Machiavelli nei Discorsi su Livio: lo vedremo, nella terza parte della
trilogia, assurgere a una dimensione tragica man mano che viene
emarginato da qualsiasi possibilità di successo. Ma anche Gloucester - il
“vero” sovrano per i suoi detrattori e per la moglie - non scherza: quasi
succubo di fronte alla moglie, spietato con i deboli come Simpcox, pronto
ad azzuffarsi in duello con l’arcinemico Winchester all’insaputa di Enrico,
egli è incline alla collera e ha una stima altissima di sé e della propria
probità. In quanto a Suffolk, il re-ombra, egli perde ben presto il controllo
della situazione e non manca di mostrarsi in tutta la sua tracotanza al
cospetto del popolo. Shakespeare inventa il personaggio secondario di
Walter Whitmore per dargli il colpo di grazia all’inizio del IV atto, ma
neppure in punto di morte, come abbiamo visto, Suffolk rinuncerà alla
tronfia esibizione di magniloquenti paragoni storico-mitologici. D’altra
parte, la galleria dei player-kings, che comprende ovviamente anche Jack
Cade e la stessa Margherita, si accompagna a un corteo di simulatori (il
prete Hume, Simpcox, oltre a Cade, a York e alla maggior parte dei nobili)
e di attori incapaci di recitare decentemente la loro parte (ancora Simpcox;
Eleanor alla ricerca inutile e dannosa di auspici favorevoli a lei e al marito;
Winchester che, moribondo, di fatto “confessa” il suo crimine).
La storia («History») interpretata da tali personaggi è ben poca cosa, una
falsificazione altrettanto mortificante dell’operazione di rimozione delle
conquiste francesi. Colui che appare maggiormente in grado di esercitare le
   328   329   330   331   332   333   334   335   336   337   338