Page 328 - Shakespeare - Vol. 1
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Dov’è il coltello? / Beaufort è definito un nibbio? Dove sono i suoi artigli?».
La stessa Margherita usa spregiudicatamente immagini animali,
paragonando il marito a una vipera, sorda ai suoi lamenti, e pronta a
iniettarle il suo veleno. In questo caso, il lupo si traveste da agnello.
Esemplare dell’imagery che percorre il dramma è la prima scena dell’atto
II, allorché l’episodio della caccia con il falcone, che potrebbe costituire un
momento di spensieratezza e perfino di armonia, si trasforma subito, in
bocca a Suffolk e a Winchester, in un gioco di pesanti allusioni ai danni di
Gloucester, il cui falcone ha volato “regalmente” più alto, in uno scambio di
invettive e di minacce, a cui non si sottrae neppure il buon duca Humphrey,
il quale non esita a concordare con Winchester, di nascosto dal re, le
modalità di un duello all’ultimo sangue. Procedendo la scena, una
variazione grottesca viene introdotta ad allentare la tensione grazie alla
comparsa di Simpcox, della moglie, e dei cittadini di Saint Albans.
Gloucester può riprendere le vesti del magistrato impeccabile: Simpcox è
l’animale fraudolento da cacciare a frustate. Ma la notizia dell’arresto di
Eleanor per alto tradimento chiude il cerchio: la vera preda è Gloucester, e
i suoi nemici possono finalmente stringersi attorno a lui in attesa di vibrare
il colpo di grazia. Morto Gloucester, la caccia all’uomo continua con
l’uccisione di Suffolk, poi con le esecuzioni sommarie ordinate da Cade,
infine con l’esplosione della guerra civile, che legalizza il massacro e porta
l’anarchia ai vertici dello stato. Dietro a Cade, fa capolino Riccardo di York
con la sua muta di figli aggressivi come orsi: la caccia all’uomo diventa
caccia alla corona, in una gara che, alla fine della seconda parte dell’Enrico
VI, è solo agli inizi.
Secondo Carol McGinnis Kay, che si è occupata dell’ imagery dell’intera
trilogia (Studies in Literary Imagination, April 1972), «il mondo animale
della seconda parte dell’Enrico VI diventa un mattatoio, una giungla crudele
dove l’uccisione, il sangue, la violenza regnano incontrollabili». La lotta
furibonda tra l’orso e i cani - uno dei divertimenti amati dagli elisabettiani
- viene invocata nell’ultimo atto come disumana metafora di ciò che sta
per accadere sulla scena. Ma, nel bestiario della seconda parte, non
mancano creature subdole, che mascherano la loro ferocia per colpire
all’improvviso: lupi travestiti da agnelli, serpenti seducenti e silenziosi,
coccodrilli che piangono lacrime false.
L’impianto drammatico, così compatto e articolato nei suoi due segmenti
(atti I-III e IV-V), contiene una componente allegorica che si esplica poiché i
vari nobili sono chiamati a impersonificare vere e proprie figure morali: la
Superbia, l’Ambizione, la Collera. I vizi, che sono le forze del male,
minacciano il benessere comune, argomenta Gloucester nel suo ultimo
appello politico (III, i), ma la seconda parte dell’Enrico VI sottolinea quanto