Page 325 - Shakespeare - Vol. 1
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politiche che portano al progressivo dissolvimento dello stato (W.J.
Blanpied ha parlato di una «struttura elegante» del dramma, basata sulla
relazione triangolare tra il re, Gloucester e York). La seconda parte
dell’Enri co VI si caratterizza inoltre per l’uso frequente della prosa,
introdotta ogni volta che fanno la loro comparsa personaggi del popolo (I,
iii; II, i; II, iii), e adoperata in quasi tutto il IV atto. L’andamento prosastico
favorisce una vena comica che prepara l’esplosione carnevalesca della
rivolta di Cade. Così, l’episodio dello smascheramento del finto cieco
Simpcox (II, i) rivela il mondo delle superstizioni e delle truffe religiose,
mentre lo scambio di accuse tra l’armaiolo e il suo aiutante Peter porta a
un duello a colpi di bastone, che dovrebbe rappresentare un rustico
Giudizio di Dio, ma che si riduce a una farsa feroce, perché l’armaiolo,
ubriaco, è incapace di reggersi in piedi (II, iii). Da queste forme di comicità
Shakespeare trae una serie di allusioni ironiche che arricchiscono il discorso
drammatico. Se Gloucester “vede” subito che Simpcox è un falso cieco, il
vero cieco è lui stesso, perché non si rende conto delle trappole che gli
tendono i suoi nemici. E così, l’estatico stupore di re Enrico davanti al
presunto miracolo si rivela un atto di dabbenaggine, reiterato quando egli
si compiace dell’esito del duello tra l’armaiolo e Peter, come se fosse stato
Dio a guidare la mano di quest’ultimo contro un ubriacone. Assai lontano
dal banale misticismo del sovrano è lo sbrigativo commento di York sulla
vittoria di Peter: «Ragazzo, ringrazia Dio e il buon vino che ha ostacolato il
tuo padrone».
Il quarto atto sviluppa ampiamente una varietà di motivi comici che, come
vedremo, non risparmiano Cade, sbeffeggiato dai suoi sostenitori, i quali
non credono affatto alla sua genealogia nobiliare, e irridono i suoi
atteggiamenti da leader. Ma il livello comico non appartiene solo a
Simpcox e all’armaiolo, a Cade e alla plebaglia ondeggiante che inneggia al
suo capo ed è pronta ad abbandonarlo; esso coinvolge anche la corte.
Comico è il litigio tra Margherita ed Eleanor (I, iii), che l’astuta regina
provoca umiliando la rivale con un sonoro ceffone, mentre una sfumatura
di ridicolo contiene la fine del più pomposo dei nobili, Suffolk, in IV, i,
insolentito e spaventato da una masnada di pirati. È lui a far precipitare gli
eventi con la sua vanagloria e la vuota superbia dei riferimenti ai grandi
dell’antichità, vilmente uccisi. Suffolk aveva suggellato la prima parte
dell’Enrico VI paragonandosi modestamente a Paride; ora va incontro alla
morte citando personaggi che nulla hanno a che fare con lui (Cicerone,
Giulio Cesare, Pompeo Magno), e ricompare in scena, ancora più
beffardamente, sotto forma di testa troncata, finalmente silenziosa,
accarezzata con amore dalla regina Margherita malgrado l’irritazione del
mite marito (IV, iv).