Page 327 - Shakespeare - Vol. 1
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Somerset è una semplice copertura delle sue ambizioni ormai
incontrollabili. Anche nel duello che porta alla morte di Cade, è stato
osservato, risuona una nota falsa (IV, x). Cade, indebolito dal lungo
digiuno, viene abbattuto da un piccolo nobile di campagna, Alexander Iden,
laudatore della tranquilla vita rurale. Costui, però, non manca di recarsi a
corte a riscuotere il premio della sua fortunata vittoria, portando al re
come trofeo e prova inoppugnabile la testa mozza del ribelle.
L’applicazione della legge appare sempre di più un fatto personale, privato.
Del resto Iden si era avventato su Cade senza neppure sapere chi fosse
colui che si era introdotto nel suo terreno.
Ma già nella prima scena del dramma, dal discorso pubblico di Gloucester
che, con un ragionamento squisitamente politico, denunciava i guasti
causati dagli articoli del trattato di pace con la Francia, si era passati alle
lamentele nascoste e puramente egoistiche di York, che si era ben
guardato dall’appoggiare esplicitamente il Lord Protettore.
Neppure i giuramenti hanno, perciò, alcun valore. Tutti parlano in nome di
re Enrico, da Gloucester a Suffolk, da York a Cade, e tutti tramano alle sue
spalle, anche la regina che fa del marito un ritratto deprimente all’amante
Suffolk: «... tutta la sua mente è rivolta alla santità, / a far la conta delle
Ave Marie sui grani del rosario» (I, iii). Quando scoppia la guerra civile,
perfino il dignitoso e venerabile Salisbury, l’ultimo della generazione di
Enrico V e di Gloucester, giustifica il suo passaggio alla fazione York,
argomentando che il suo giuramento al re non è valido perché “è un grave
peccato giurare di commettere peccato, / ma peccato più grave mantenere
un peccaminoso giuramento (V, i)”. Adeguato appare in questo caso il
commento di Margherita: «Un astuto traditore non ha bisogno di cavilli»;
ma i cavilli sono l’unica arma verbale rimasta, in attesa che parlino le
spade.
Siamo dunque non in un tribunale, tanto meno nel giardino paradisiaco
dell’Eden (Iden = Eden), ma su un campo di battaglia che assomiglia a un
mattatoio, dove la parte più pregiata dell’animale-uomo è quella che
dovrebbe servirgli a ragionare: la testa.
Di riferimenti ad animali innocenti immolati sono cariche le immagini che
attraversano il dramma; esse si affiancano a quelle, presenti nell’Enrico VI,
parte prima, che si basano sul vocabolario della caccia per delineare un
paesaggio cosparso di trappole, di rami impaniati, di trabocchetti. Gli esseri
umani diventano prede e predatori nelle considerazioni di Warwick davanti
al cadavere di Gloucester: giovenche massacrate dal macellaio, pernici
trascinate nel nido del nibbio (III, ii). Nel tentativo di difendere i
cospiratori, Margherita dà concretezza letterale al discorso di Warwick,
rivolgendosi retoricamente agli assassini: «Siete voi il macellaio, Suffolk?