Page 330 - Shakespeare - Vol. 1
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Mediocre recita degli aspiranti re e cancellazione della
memoria storica

L’opera si apre con una fastosa scena di corte. Essa si riallaccia alla
conclusione della prima parte della trilogia e sembra costituire una
significativa antitesi all’incipit dell’opera precedente, dove veniva celebrato
il solenne rito funebre per la morte di Enrico V in presenza di tutti i grandi
Lord del regno, impegnati a conservare il dominio sulla Francia. Allora,
l’erede ai troni di Inghilterra e di Francia aveva solo nove mesi, e il potere
monarchico, almeno fino alla sua comparsa nel III atto, si era fondato
principalmente sul ricordo da tutti condiviso delle grandi imprese paterne.
Ora, all’inizio della seconda parte dell’Enrico VI, il giovane sovrano sta per
incontrare la sua regina, Margherita D’Angiò, di cui s’è acceso per una
subitanea passione amorosa - un sentimento a lui fino ad allora
sconosciuto - in seguito alla descrizione tutta letteraria che Suffolk gli
aveva fatto della fanciulla francese. E proprio il matrimonio, combinato
contro il parere di Humphrey di Gloucester, Protettore del Regno, aveva
indotto Suffolk a chiudere trionfalmente la prima parte della trilogia con
una dichiarazione tanto spavalda quanto imprudente: «Ora Margherita sarà
regina, e governerà il re, / ma sarò io a governare lei, il re, e il regno».
Un triangolo pericoloso scompone la piramide gerarchica: il re dominato
dalla consorte, e quella donna manipolata dalla volontà del suo amante.
Forzando le cronache cinquecentesche di Hall e di Holinshed, da quell’abile
drammaturgo, attento agli effetti sensazionalistici cari al pubblico
elisabettiano, che è già all’inizio della sua carriera, Shakespeare costruisce
ora la situazione politica che Suffolk aveva fatto balenare nella propria
mente e nella mente degli spettatori, e rimette in movimento la macchina
drammaturgica con una nuova scena corale, questa volta non luttuosa, ma
potenzialmente gioiosa, foriera di un avvenire prospero per la terra inglese
e su cui, tuttavia, si stende progressivamente l’ombra del progetto di
Suffolk, dell’opposizione di Gloucester, del malcontento di York. Infatti,
anche la cerimonia matrimoniale viene presto oscurata dai contrasti e dalle
trame dei Lord, che caratterizzano l’intero svolgimento del dramma, un
prolungato “rito di passaggio”, che conduce al disastro e al precoce
invecchiamento della stagione esistenziale del re; come se Enrico VI fosse
destinato - in un innaturale ciclo temporale - a ignorare il momento
estivo della maturità, balzando dall’acerba primavera della sua vita ai rigori
implacabili di quell’inverno che è la guerra civile. Prima, allorché il giovane
Enrico non era neppure in grado di comprendere un mondo
improvvisamente svuotato della potente figura paterna, le rivalità nobiliari
erano state già determinanti per la perdita della Francia, mentre si era
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