Page 334 - Shakespeare - Vol. 1
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prerogative della regalità, anche per la inoppugnabile evidenza dei diritti
dinastici elencati con puntiglio (II, iii), è Riccardo di York. Ma anche York
manifesta un animo subdolamente machiavellico, scatenando la rivolta di
Cade. Inoltre, durante il V atto, egli si proclama vero sovrano non tanto in
base ad argomentazioni dinastiche, ma vantando brutalmente la sua forza,
l’appoggio dei figli, la necessità di vendicarsi dei torti subiti, e dunque
delegittimando Enrico secondo un principio del tutto soggettivo, che apre la
strada al caos provocato dalla legge del più forte. Anche in questo senso,
come vedremo, Jack Cade costituisce l’altro volto - quello anarchico e
annientatore d’ogni ordine costituito - di York. E c’è di più, perché il cenno
alla «bella figlia di un duca», che Enrico s’è preso in moglie scambiandola
con le province francesi, rivela in York una sorta di gelosia sessuale che
identifica Margherita con la terra, con l’incondizionato possesso e
godimento che il sovrano ha di ogni cosa e d’ogni persona. Non a caso,
l’alter-ego Cade invoca lo jus primae noctis tra le sue prerogative. Il
dominio sulla terra, dunque, su cui York si sofferma più volte, risponde a un
atavico, patriarcale bisogno di prevaricazione e di violenza. Nella seconda
parte dell’Enrico VI, persa la Francia, non resta che spartirsi il suolo della
madrepatria, che si materializza efficacemente più volte sul palcoscenico: è
il duro selciato londinese calcato dai piedi delicati di Eleanor (II, iii) o il
giardino di Iden, dove Cade cerca nutrimento, e trova la morte (IV, x). E
ancora: le strade vicino alla cattedrale di Saint Albans, dove l’imbroglione
Simpcox si spaccia per miracolato, prima di essere condannato a tornare
nel suo paese del nord a furia di frustate (II, i). Quelle stesse strade,
nell’atto V, si trasformano nel primo scenario - davanti all’insegna di una
birreria - dove i nobili cominciano il massacro della guerra civile, mentre
quelle di Londra, nell’atto precedente, erano state percorse dalla plebaglia
di Cade, tra le case bruciate e le teste issate sulle insegne dei provvisori
vincitori.
In questa successione di episodi scanditi dalla progressiva caduta di coloro
che attorniavano Enrico - prima Gloucester, poi Winchester, quindi Suffolk,
infine Somerset - ognuno si serve della storia passata secondo i propri
intendimenti, ma nessun ordinato processo di revisione storica viene
attuato. Nel vuoto lasciato dall’obliterazione del passato, lottano
Gloucester e Margherita, Warwick e Suffolk, Somerset e York, senza che vi
sia mai un autentico vincitore. Anzi, la crisi delle istituzioni dello stato
consente agli spettatori passivi - il popolo, la gente comune, i commons -
di intrufolarsi tra le pieghe della contesa nobiliare, per proporsi come
improbabili protagonisti di un play alternativo, i cui attori vengono
svillaneggiati dai nobili quando chiedono il rispetto della legge, si
ammazzano tra di loro a bastonate, gridano al miracolo tra l’esultanza