Page 338 - Shakespeare - Vol. 1
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considerazione per le qualità mascoline del rispettivo consorte, ma Eleanor
incarna una più evidente dimensione stregonesca, anche se, come ha
notato Fernando Ferrara ( Il teatro dei re, 1995), la sua magia è «più
adeguata alle guerre civili e alle meschine contese di potere che dominano
la seconda parte della trilogia». Infatti, lo spirito diabolico di Asmath ha
ben poco da rivelare e tutto il grottesco e impressionante apparato rituale
messo in scena dal negromante Roger Bolingbroke e dalla strega Margery
Jourdain in I, iii è assolutamente inefficace di fronte alle operazioni di
spionaggio e di polizia guidate dai nemici di Gloucester. Prima di
scomparire, l’indomita Eleanor, «una pallida anticipatrice della terribile
regina di Macbeth» (L. Fiedler, The Stranger in Shakespeare, 1972),
conquista nuovamente la scena (II, iv), per dire addio al marito, incitarlo
ancora inutilmente alla riscossa, raccontare della sua umiliazione davanti
alla gente di Londra. Mentre Margherita rievocherà il momento lontano
della tempesta marina, Eleanor vive quello che racconta con l’amara
concretezza dei dettagli fisici (i suoi piedi delicati, nudi sul selciato...),
dialogando non solo con il marito, ma anche con gli spettatori che hanno
assistito alla sua punizione: «... la gente maligna ride, / e mi raccomanda
di fare attenzione dove cammino». Malgrado la cecità di Gloucester, che
continua ad affermare il suo rispetto per una legge inesistente, malgrado il
sarcasmo di Eleanor, questa è l’unica autentica scena d’amore del dramma,
destinata a rimanere un ricordo privato, anch’esso cancellato, come le
cronache ufficiali del regno Lancaster, dagli eventi terribili della guerra
civile, divoratrice d’ogni pietà. Eleanor scompare, avviandosi al suo esilio
nell’isola di Man, «che Shakespeare doveva conoscere come la dimora
tradizionale delle streghe e del loro animale domestico favorito, il gatto di
Man» (L. Fiedler).
Neppure nella scena in cui Gloucester e la moglie si lasciano per sempre,
dunque, il popolo è testimone passivo. Nella prima parte dell’Enrico VI i
commoners, la gente comune, erano rappresentati dai cittadini di Londra,
vittime impaurite delle risse nobiliari, oppure dai servi in livrea di
Gloucester e di Winchester, pronti a scannarsi per l’onore dei loro rispettivi
padroni. Nella seconda parte della trilogia il rapporto tra il mondo nobiliare
e quello popolare è assai più controverso e movimentato, come sottolinea
anche - ne abbiamo già accennato - l’uso assai ampio della prosa e di un
linguaggio “basso” estremamente concreto e privo della retorica dei
potenti. Fin dal primo atto, gli esempi di presenza popolare si moltiplicano:
seppure umiliati dalla loro ignoranza (per essi, l’aspetto fisico di Gloucester
e quello di Suffolk sono identici), i postulanti che attendono il passaggio del
Lord Protettore hanno legittimi motivi di protesta.
Simpcox e la moglie tengono testa alla corte, finché Gloucester non li
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