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la fuga dal campo di battaglia. E se la comunità immaginata da Cade si è
dissolta come un incantesimo, che dire dello stato che si ritrova ad
ereditare Enrico VI, «sballottato come un vascello» tra Cade e York? (V, i).
«Gran Dio, come sei giusto!», esclama il re, mentre Iden gli esibisce la
testa mozza di Cade, e accanto a lui c’è York, pronto a strappargli la
corona, mettendo fine alla sua simulazione di fedeltà feudale. La festa di
sangue non è finita; anzi, sta per cominciare.
Il testo inglese e la sua traduzione
L’edizione critica sostanzialmente seguita durante la traduzione è quella a
cura di Michael Hattaway (Cambridge University Press, 1991). Hattaway ha
collazionato le versioni dell’opera pubblicate tra il 1594 e il 1623,
privilegiando - come mi pare giusto - l’edizione in-folio del 1623, e
ricostruendo le didascalie con scrupolo perfino eccessivo.
L’elenco dei personaggi è stato compilato per la prima volta da Nicholas
Rowe nella sua edizione dei Works shakespeariani (1706). Data la quantità
dei personaggi che compaiono in scena, non è facile dare un ordine
rigoroso e completo alle Dramatis Personae. Più che alle indicazioni di
Hattaway, mi sono attenuto, con qualche ritocco, all’elenco proposto in
modo più tradizionale da Andrew S. Cairncross per la «New Arden
Shakespeare» (1957).
Nella traduzione, per una consuetudine consolidata, sono stati italianizzati
solo i nomi dei personaggi principali: Enrico VI, Riccardo Plantageneto,
Margherita, ecc. Questa scelta porta al paradosso che, mentre abbiamo,
tra gli York, un Riccardo padre e un Riccardo figlio (il futuro Riccardo III), il
Conte di Warwick si chiama Richard Neville.
Per i problemi legati alla traduzione del blank verse, rimando a quello che
ho scritto a proposito della prima parte dell’Enrico VI. Ormai, il linguaggio
idealizzato della retorica cavalleresca, messo in bocca, durante la prima
opera della trilogia, a Talbot e a suo figlio, è pressoché scomparso.
L’eloquio religioso di Enrico rimane sempre più isolato di fronte alle
invettive e alle argomentazioni machiavelliche di amici e nemici, mentre si
affaccia vigorosamente, soprattutto nel IV atto, la parlata in prosa del
popolo. Ho cercato di rendere il ritmo (o, piuttosto, i ritmi) del blank verse
attraverso una necessaria varietà metrica e di dare un’idea della
concretezza popolaresca della prosa, carica di giochi di parole. Ritengo che
una traduzione come questa, pur rifuggendo da eccessi di letterarietà, si
rivolga alle aspettative di chi legge, più che alle orecchie di uno spettatore
teatrale.
Un doveroso ringraziamento va a Sergio Perosa per i suoi preziosi