Page 23 - Shakespeare - Vol. 1
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vengono a difettare nel nostro secolo, anche per reazione e stanchezza
verso le sintesi idealizzanti e moralistiche dei romantico-vittoriani, e per la
miopia generata nei confronti della totalità dell’oggetto dall’eccesso di
specializzazione. Le periodizzazioni a etichetta (problem plays, dark
comedies, drammi dialettici e simili) o quelle per fasi, filoni, mode o
tecniche, presunte esperienze soggettive o temperie (elisabettiana,
giacomiana) troppo brevi, possono moltiplicarsi come le interpretazioni, e
possono riuscire utili ma restano definizioni e partizioni esterne e
preconcette. La ripartizione in generi (cronache, commedie, tragedie,
romances) è da usarsi con cautela, è spesso astratta e falsante, ma
inevitabile in questa sede.
Le “cronache”
Con tutta la cautela dovuta all’incerta cronologia possiamo individuare in
Shakespeare, in un primo tempo, tre linee parallele di “ricerca” o interesse:
l’ondata delle cosiddette “cronache” (che a rigore, ad es. nei due Riccardi,
è difficile distinguere dalle tragedie), le prime prove nella commedia, e
quelle tragedie isolate, che fino al 1600 sembrano delle eccezioni, visto il
predominare del disegno unitario delle cronache inglesi, di dipingere un
grande affresco tragico o pretragico della nascita della nazione. L’avvio,
piuttosto sinistro, è dato dalla prima tetralogia sui signori della guerra
quattrocenteschi (le tre parti dell’Enrico VI e il Riccardo III), i quali, nella
pace elisabettiana, erano ormai entrati nel mito quasi come per i tragici
greci i ghennàioi (nobili) omerici.
I clans feudali in lotta nei secoli di formazione della nazione erano stati
travolti dai re Tudor, incorporati dai cronisti tudoriani nel ciclo mitico-
provvidenziale della dinastia, e appartenevano ai tempi di Shakespeare
solo a un passato lontano e leggendario - un passato in effetti che era
stato manipolato, moralizzato e appiattito dalla storiografia di Corte. Su di
esso Shakespeare compie tre operazioni. Mostra quel mondo nella sua
fenomenologia conflittuale, incarnando i giudizi e i valori nei sottomondi
dei personaggi, e così caricando di ambiguità la visione. Cala nel presente
le azioni leggendarie con il linguaggio e la vivida caratterizzazione, e
insieme le allontana rendendole problematiche, mostrando quella realtà
nei suoi aspetti brutali, incomprensibili, inaccettabili per il presente. Questi
cicli tragici, ritenuti fino al nostro secolo opere di tirocinio legate al loro
tempo, furono rivalutati dal Tillyard che vide in essi l’epica della nazione, la
celebrazione dell’ascesa dei Tudor e la «visione elisabettiana del mondo»
qual era nelle fonti. Shakespeare avrebbe dato la sua adesione totale al
mito politico delle guerre civili come lotta del bene contro il male, ne
avrebbe fatto la sua filosofia della storia, immettendola come messaggio