Page 19 - Shakespeare - Vol. 1
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non essere avvincente e stimolante per i drammaturghi elisabettiani, i
quali adoperarono Seneca e l’eredità classica con una libertà inconcepibile
sul continente. Al livello più profondo è certo l’istinto e il furor teatrale che
fa loro reinventare dopo duemila anni l’immaginazione tragica, e la rinnova
e la fa rinascere in forme nuove, così come le forme classiche rinascono in
Michelangelo o Raffaello.
Ciò avviene in un arco di cinquant’anni, tra Marlowe e Webster, e
soprattutto ad opera di Shakespeare. E questa congiuntura presenta molte
analogie con quella dell’Atene periclea. Anche il teatro inglese nasce come
una grande esperienza di riflessione sul reale, libera dalla tirannia della
ragione e da quella della fede. Nasce in un interregno di scepsi e di libero
pensiero, tra due grandi civiltà totalitarie: da una parte il dommatismo
medievale e riformista col suo patto Ragione-Fede, dall’altra il totalitarismo
logico-razionale del moderno Leviatano col suo patto Ragione-Deismo. Da
una parte il sistema della Provvidenza, dall’altra il sistema del Calcolo. E
qui i coefficienti della congiuntura, oltre ai contributi classici e medievali,
furono certo la crisi del lògos, del principio di contraddizione, nella scepsi,
nella magia, nel panteismo animistico ecc., e anche l’accentuarsi della
distanza dall’uomo del deus absconditus protestante, il dio che non ama gli
uomini, il dio che riacquista l’incomprensibilità, l’arbitrarietà, l’assenza di
razionalità ed eticità del concetto antico del divino: il cielo si spopola ma
l’immanenza rinascimentale ritrova con la Riforma una controparte
metafisica che è per l’uomo altrettanto “altra” e incomprensibile, se non
altrettanto vicina e palese, del piano divino dei greci.
Il tragico in Shakespeare
Ciò conduce al vessato problema della dimensione metafisica e religiosa
del mondo di Shakespeare. Soltanto ambigui emissari dell’aldilà calcano le
sue scene, il suo cielo vuoto è per i suoi uomini la sede di un dio nascosto
che può essere quello di Lutero e Calvino o l’anima mundi o l’antico Zeus, e
in realtà è ciò che ognuno dei suoi personaggi lo crede. Ma il suo mondo è
investito e permeato da forze misteriose alle quali possiamo dare nomi
latini o cristiani, la Provvidenza o Retribuzione divina, la Fortuna, il Fato, la
Necessità, le passioni, ma che potrebbero anche chiamarsi coi nomi di
Dike, Tiche, Moira, Ananke, o di dèmoni e “nomi divini”, come Eros, Ate,
Alastor, perché furono i greci a inventare quei concetti la cui lunga durata
arriva fino a noi, li si chiami oggi ideali, ideologie, Stato, influssi astrologici
o complessi inconsci. Vero è che nel Rinascimento la soggettività si è
estesa ed ha interiorizzato molte di queste forze, ha trasferito all’interno
dell’io gran parte della dimensione ignota e sacrale.
Nel momento in cui l’uomo rinascimentale torna a essere relativamente