Page 28 - Shakespeare - Vol. 1
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attuale, è la lettura ideologica o moralizzante dell’opera, un procedimento
riduttivo comune alle interpretazioni inconsapevoli della propria
componente soggettiva, del proprio condizionamento culturale ed epocale.
Altri approcci sospetti sono l’indagine psicologica o psicanalitica che forzi i
personaggi agli schemi fissi di un’altra disciplina, l’indagine storico-
positivistica che pretenda di spiegare l’operato della fantasia con esigenze
e convenzioni locali (scene, pubblico, politica ecc.), lo pseudo-metodo neo-
aristotelico che si sforza di adattare un’opera al letto di Procuste della
Poetica, e infine il metodo più di moda oggi e forse più rischioso, che senza
un briciolo d’ironia si fregia dell’orrido titolo di “spettacolismo”, e che,
rifiutando di vedere la doppia natura di un’opera teatrale tradizionale come
testo letterario e come spettacolo, abolisce il testo e riduce l’opera a ciò
che ne viene fuori nello spettacolo, che come sapeva perfino Aristotele è
un’arte diversa la quale adopera il testo come materiale ai suoi fini.
La storia della critica
La storia della fortuna critica di Shakespeare è particolarmente utile se
rivolta ai fini di una storia delle interpretazioni e di una critica della critica.
Qui non si può che riassumerla. Comincia con le riserve neoclassiche
(Dryden, Voltaire, Johnson), che non è opportuno liquidare come aberranti
e assurde senza ben vederne, e in questo caso con piena legittimità, il
significato storico. Anzi converrebbe ristudiare con maggior comprensione
storica e meno sdegno - eredità, questo, delle esaltazioni romantiche e
postromantiche - gli appunti di Dryden sul linguaggio di Shakespeare, le
riserve del moralista Johnson, quelle del razionalista Voltaire (e poi
dell’altro razionalista, Brecht), e infine quelle assai fini ma non meno
neoclassiche e moralistiche di T.S. Eliot. La riflessione su questi punti di
vista ci porterebbe a sottolineare, come non si fa nella critica
costantemente esaltatoria e cultuale del nostro secolo - quando non è
fredda e ipocritamente “scientifica” - gli aspetti difettosi e insoddisfacenti
dell’opera di Shakespeare, taciuti nelle vaste sale piene di timore e di
silenzio dell’adulazione moderna (Lerner). Si tratta sempre, fino al rifiuto
iconoclastico del Tolstoj mistico, di riserve ideologiche, che s’appuntano
sulla questione dell’eticità di Shakespeare. Gli esponenti dell’illuminismo
etico e del nuovo umanesimo moralista sono incapaci per definizione di
capire il tragico: per loro una tragedia è sempre, sulla base aristotelica,
una mimesi attuata come exemplum a scopo morale. Però quei critici
intuivano la refrattarietà alla morale della visione tragica, e vedevano
Shakespeare com’era stato in realtà, estraneo a ogni etica del suo tempo,
l’anglicana e la puritana, la cattolica o quella del Seneca morale e stoico,
che aveva gettato la sua ombra tenace su tutto il teatro greco. In questo