Page 30 - Shakespeare - Vol. 1
P. 30

Nietzsche che scuotesse in profondo la tradizione critica. Invece trovò un
Bradley, grande sintetizzatore della critica romantica, ma che ribadì
l’angolazione hegeliana e moralizzante. Così i critici non capirono con
Heidegger che il vero artista non approva né denunzia, non «fa uso della
realtà ma la lascia essere». Anche ciò che Apollo dice nelle Eumenidi,
notava il Kitto, è opinione di Apollo e non di Eschilo. Ma nel mondo
anglosassone Shakespeare riesce raramente a non essere oggetto di culto,
perché è sentito come la coscienza morale ed estetica della stirpe. La
mente anglosassone si rispecchia nella sua opera e si fa un modello ideale
della sua visione sentita come un contemperamento di empirismo razionale
e di religiosità protestante, di misura classica e di libertà romantica, di
ricchezza rinascimentale e di intensità metafisica. Per un inglese egli è
l’assertore di valori etici indiscutibili, di una filosofia perenne che confuta
l’accusa d’immoralità e si fonda sulla testimonianza di un mondo “tragico”,
cioè scisso e imperfetto, diviso tra male e bene, dove ampio è il divario tra
ideale e prassi, essere e dover essere, apparenza e realtà, ma dove una
provvidenza è all’opera per assicurare la vittoria finale del bene e il
progresso delle umane sorti. Sembra sfuggire agli inglesi quell’ironia che in
Shakespeare è come il punto di vista della divinità, ed egli è investito
dell’ideologia borghese sub specie aeternitatis. Il suo scettro morale non
vige solo nel campo dell’etica privata ma in quello pubblico e politico, dove
egli passa per il campione dell’ordine monarchico-liberale-anglicano-
tradizionalista connaturato alla Englishness, e in quello spirituale, dove il
suo in-folio è una Bibbia pronta a dare al lettore amareggiato dalla vita un
senso e un conforto.

Le interpretazioni recenti

La critica anglosassone degli ultimi decenni rifiuta sempre più nettamente
gli approcci tradizionali, che ricercano in Shakespeare un messaggio
affermativo (morale, politico o filosofico) e mostra sempre più nettamente
una consapevolezza della polisemia dell’opera e del soggettivismo delle
interpretazioni-spiegazioni, che sono rienunciazioni (restatements) di ciò
che si vuole spiegare nei termini degli interessi e delle assunzioni del
presente (B. Willey). La “spiegazione razionale” di un’opera spiega a sua
volta le proteste degli artisti contro il linguaggio e le operazioni di critici e
registi: «Voglio presentare», diceva Pinter di recente, «esseri degni di
interesse semplicemente perché esistono, e non per una certa morale che
mi prefiggo di trarre da loro». Il drammaturgo mostra un fatto che può
avere tutte le spiegazioni che gli si vogliano attribuire.
Il volgere dei tempi e il mutare delle idee cominciano a creare un nuovo
rapporto tra Shakespeare e il lettore, a impostare una prospettiva che non
   25   26   27   28   29   30   31   32   33   34   35