Page 29 - Shakespeare - Vol. 1
P. 29
senso i critici illuministi erano più acuti e genuini dei moralisti romantici e
moderni, che hanno deformato Shakespeare attribuendogli il proprio
moralismo. Ai secenteschi e ai settecenteschi Shakespeare appariva
difettoso ma non difficile a capirsi, cioè non ambiguo né problematico.
Furono i romantici che, vedendo l’in-folio come il Libro della Natura,
cominciarono a interrogarsi felicemente sui suoi significati. Purtroppo
canalizzarono la loro intuizione della polisemia del testo verso la psiche dei
personaggi: l’anima dell’opera era per loro l’io dell’eroe che si ergeva
contro il mondo. Così avviarono le interpretazioni come specchi della
soggettività del critico ripetendo i due errori che impedirono loro di scrivere
vere tragedie e commedie: l’identificazione con l’eroe e la sua
moralizzazione positiva o negativa. Da Goethe a Coleridge fino a Bradley
nascono le famose interpretazioni romantiche, spesso assai acute e
suggestive anche se, in sostanza, proiezioni dell’io critico.
Il Novecento
All’inizio del Novecento la reazione antiromantica dei critici devia
l’attenzione dal protagonista verso la forma complessiva dell’opera. T.S.
Eliot presenta una strana sindrome: così ambiguo nelle sue poesie, a livello
cosciente rifugge dall’ambiguità, e indica quella di Amleto come un difetto.
Ma i formalisti la traspongono da valore psicologico negativo a valore
linguistico positivo. Un play è studiato ora come un poema, e poi come un
sistema drammatico. Bisogna dire che la critica novecentesca, di cui oggi si
possono denunciare limiti ed errori, ha letteralmente riscoperto
Shakespeare e fornito gli strumenti per una conoscenza mai così
approfondita delle sue opere. E però spesso ha mimetizzato con interessi
formali o tematici l’atteggiamento ideologico-moralistico vittoriano e la
ricerca di tesi o messaggi. Col Granville-Barker nasce l’interesse per il play
come fatto teatrale: più tardi su questa linea, per una malintesa
associazione del testo con lo spartito musicale o per influsso delle nuove
tecniche di spettacolo, nasce l’idea che l’opera di teatro si realizza solo
sulla scena. Dovrebbe essere chiaro, per il teatro classico e tradizionale,
che fin dalla sua scrittura il testo è stile e conferisce a se stesso
un’autonomia letteraria che è ribadita dalla trasmissione a stampa, e dalla
tradizione critica che ne ha fornito le letture più profonde. La realizzazione
scenica che fa del testo un pre-testo (quando, com’è legittimo, non ne fa a
meno) e gli dà una funzione servile è un’arte diversa e relativamente
autonoma: l’uso che la messinscena fa del materiale-testo consiste in una
interpretazione che fa violenza all’indeterminazione visiva propria della
parola ed è per necessità di cose decurtatrice e riduttiva.
Lo Shakespeare moralisé dei romantici avrebbe avuto bisogno di un