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e ambiguità («Non lo sapete che io sono Riccardo II?», aveva detto
Elisabetta a uno della sua Corte, la quale ben poco somigliava alla ideale
sfera del Castiglione). Nel presente ci sono soprattutto complotti, attentati,
assassini, esecuzioni, persecuzioni e carneficine (come quella degli
ottocento nobili decapitati da Elisabetta durante la sollevazione dei nobili
del Nord, nel 1569-70), accompagnate da una crescente stanchezza di
uccidere e da un salutare scetticismo (Montaigne, Castellione, Bodin).
Calvino chiamava con disprezzo gli intellettuali italiani dei «nicodemiti»,
cioè conformisti, ma che altro erano gli intellettuali e artisti inglesi sotto
Elisabetta, lei pure scettica, pare, e ferma almeno in teoria nel distinguere
la coscienza dall’ordine, il che era già una gran cosa? La Chiesa inglese si
era staccata da Roma per l’esigenza di una politica di potere, e tra Enrico
VIII ed Elisabetta gli inglesi erano stati costretti dai loro tiranni a cambiare
di religione ben quattro volte. La merry England non è mai esistita, però è
vero che i Tudor erano i padri della nazione, che avevano posto fine alle
guerre civili, s’erano tenuti fuori dalle continue guerre continentali,
avevano tenuto a freno i fattori di scissione interni, e si erano presi cura
dei propri sudditi assai più che i re precedenti. Elisabetta aveva instaurato
il regime forse meno tirannico del secolo, aveva continuato i programmi
educativi tudoriani (istituzione delle grammar schools, sostegno delle due
grandi università, che però in realtà erano scuole teologiche dove
Copernico fu ignorato fino a metà del Seicento e gli studi più audaci erano
quelli su Aristotele), e lasciato adito a una libertà d’espressione relativa ma
eccezionale per i tempi. Mai, scrive uno storico, c’era stata a Londra, città
sudicia e violenta che esplodeva dalla sua cinta medievale, una tale
concentrazione di ricchezza, di talenti, di arrivismo, di occasioni. Centro di
cultura aristocratico-borghese, Londra era la prima capitale culturale in
Europa. E la Corte di Elisabetta, che come quella del padre era il centro
della cultura nazionale, difendeva il nascente teatro dai continui attacchi
puritani. Tanti altri fattori, a Londra, contribuivano a creare la congiuntura
favorevole alla nascita del teatro moderno: l’inflazione e la gran
circolazione monetaria, l’inurbamento crescente, la possibilità -
nonostante tutto - di una esistenza assai più autentica e meno alienata di
quella di oggi, l’entusiasmo di una nazione giovane e in rapido sviluppo, il
desiderio di divertimenti e di nuove sensazioni, l’omogeneità tra esperienza
quotidiana ed esperienza teatrale in un’epoca in cui l’arte era
relativamente poco differenziata dalla vita quotidiana (Heller), infine il
senso epocale del mondo come un gran teatro e del teatro come simbolo
del mondo. Tutto ciò creò il terreno propizio alla nuova industria dello
spettacolo che tutti invitava alla festa del teatro, e permise ai teatranti di
piazzare i loro palcoscenici sulle piste dei tori e degli orsi, per annunciarvi