Page 11 - Shakespeare - Vol. 1
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sfuggenti (asimmetria, revoca dei limiti, dell’armonia e della gerarchia,
ambiguità ecc.) che però lo distinguono bene dal Rinascimento classico e
dal Barocco. In letteratura, Tasso e Cervantes, Donne e Shakespeare. Essi
non stanno sotto una sola stella spirituale, ma quasi sotto la saturnina
costellazione di Machiavelli e Montaigne, Campanella e Bruno, Paracelso e
Boehme, Seneca e Bacone. Ciò che aveva avuto un significato preciso - la
vita e la morte, il divino, il male, il dolore - torna per un tratto ad essere
un problema insolubile. Prevalgono il senso dell’inconsistenza e della
fluidità delle cose, la coscienza di un presente degradato e abominevole, e,
anche come strumenti interpretativi, la malinconia per la vanità delle cose
e il dubbio sulle capacità della ragione.
Si direbbe che tra Cinquecento e Seicento vengano a maturazione, ma
senza trovare esito e sviluppo, delle potenzialità nate dalla disintegrazione
della sintesi medievale e dal poderoso confluire di istanze del
Rinascimento: nella riflessione sulla coscienza e sulle capacità dell’uomo
come un portento per cui si riprova meraviglia, e in quella sui rapporti tra
io e natura, io e stato, io e cosmo, io e sovrannaturale. E sono le occasioni
perdute di cui parla Bloch, e possono simboleggiarsi nei nomi appunto di
Machiavelli e di Montaigne e degli altri che il nuovo tempo stava per
eclissare e che sarebbero stati riscoperti in tempi assai più recenti. Tra essi
possiamo annoverare Shakespeare, uno dei culmini del Rinascimento per la
sua reinvenzione del teatro e della tragedia, che egli fece rinascere al di
fuori di quell’aristotelismo che a lui, per fortuna, non toccò di servire. Un
provinciale conformista andato a Londra a fare il teatrante riuscì con pochi
altri a porre la sua età all’altezza dell’unico grande periodo di teatro nella
storia europea, il V secolo greco. E come le opere greche, anche le grandi
tragedie elisabettiane, subito dopo la morte dei loro autori, entrarono in un
cono d’ombra - se non di sfortuna certo di fraintendimento - che durò per
secoli.
L’età elisabettiana
In Inghilterra il Rinascimento coincide coi rivolgimenti religiosi e con
l’ultima fase del processo di formazione dello stato nazionale unitario. Con
la riforma enriciana, l’assolutismo riasserisce la gerarchia organica e
sacrale del Medioevo che ora promana dal re, capo temporale e spirituale,
che la impone alle sue “due nazioni”: da un lato l’aristocrazia in crisi e la
borghesia rampante che troverà nel puritanesimo la sua ideologia
rivoluzionaria, dall’altro la maggioranza dei proletari, contadini e inurbati.
Nel dipingere Enrico VIII come una massa di energia ottusa e potente
Holbein aveva incarnato l’idea del tiranno machiavellico, anzi dello Stato
Leviatano fondato sulla forza e «virtù» del despota. Un re che comandava