Page 72 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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era una tale sostanza essente in sé e venne da lui caratterizzata come delicatissima e finissima
materia, con l’aggiunta della specifica qualità del pensiero. Con un carattere ipotizzato in
siffatta maniera, anche l’effetto di questa materia sull’altra materia doveva essere naturalmente
dello stesso genere di quello esercitato da un’altra sostanza su di una terza, cioè meccanico,
generante movimento grazie a pressioni ed urti. Comunque egli aveva ora una sostanza che
muove se stessa e le altre cose, il cui movimento non proviene dall’esterno e non dipende da
nessun’altra cosa: sembra invece quasi indifferente il modo in cui questo automovimento è da
pensarsi, forse un po’ come lo spingersi avanti e indietro di delicatissime e piccolissime sfere
di mercurio. Fra tutte le domande concernenti il movimento, non ce n’è una più seccante di
quella sull’origine di esso: se infatti si può pensare tutti gli altri movimenti come conseguenze
ed effetti, resta però sempre da spiegare il movimento iniziale. Per quanto riguarda i movimenti
meccanici, il primo anello della catena non può in nessun caso trovarsi in un movimento
meccanico, perché ciò significherebbe ricorrere all’assurdo concetto di causa sui. Ma non è
comunque ammissibile attribuire alle cose eterne e incondizionate un movimento proprio, per
così dire dall’inizio, come una dote concessa loro dall’esistenza. Non si può infatti immaginare
il movimento prescindendo dalla direzione, esso cioè è da pensarsi esclusivamente come
relazione e condizione. Ma una cosa non è più essente in sé e incondizionata se, per sua natura,
si riferisce necessariamente a qualcosa di esistente fuori di essa. Posto in tale imbarazzo,
Anassagora credette di trovare un straordinario aiuto e una salvezza in quel nous che muove se
stesso ed è d’altronde indipendente, poiché la sua essenza è sufficientemente oscura e celata da
poter suscitare l’illusione che, in fondo, la sua assunzione non comporti anch’essa l’introduzione
della proibita causa sui. Per la considerazione empirica è addirittura scontato che il
rappresentare non sia causa sui, bensì effetto del cervello, anzi essa ritiene una sorprendente
dissolutezza separare lo «spirito», prodotto del cervello, dalla sua causa e supporre che, dopo
tale separazione, lo spirito esista ancora. Anassagora fece proprio questo: egli dimenticò il
cervello, dimenticò quale sorprendente artefatto esso sia, la delicatezza e l’intrico delle sue
circonvoluzioni e dei suoi canali, e decretò lo «spirito in sé». Questo «spirito in sé» possedeva
l’arbitrio, era l’unico fra tutte le sostanze a possederlo – quale straordinaria conoscenza! Lo
spirito poteva dare inizio in ogni momento al movimento delle cose fuori di sé; per un tempo
immenso esso poteva, al contrario, occuparsi di se stesso – in breve, Anassagora poteva
ammettere un primo istante di movimento in un epoca primordiale quale punto germinale di tutto
il cosiddetto divenire, il che significa di ogni mutamento, di ogni cambiamento e spostamento
delle eterne sostanze e delle loro particelle. Sebbene lo spirito sia eterno, in nessun modo esso
è tuttavia costretto a torturarsi fin dall’eternità con lo spostare in lungo e in largo i granelli di
materia; e in ogni caso ci fu un tempo e uno stato di quelle materie – non importa se di durata
più o meno lunga – nel quale il nous non aveva ancora esercitato effetti su di esse, nel quale
dunque esse erano ancora immobili. Questo è il periodo del caos anassagoreo.