Page 71 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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nulla  di  una  successione  in  quanto  tale  se,  nella  mia  coscienza,  non  ho  allo  stesso  tempo  i
     componenti della stessa che si susseguono l’un l’altro. La rappresentazione di una successione
     come  tale  non  è  dunque  nient’affatto  successiva  e,  di  conseguenza,  è  anche  assolutamente

     differente dalla successione delle nostre rappresentazioni. In secondo luogo, l’ipotesi di Kant
     implica delle assurdità così palesi, che ci si meraviglia che egli abbia potuto non tenerne conto.
     Secondo tale ipotesi, Cesare e Socrate non sono veramente morti, bensì vivono in buona salute
     tanto  quanto  duemila  anni  fa  e  sembrano  essere  morti  semplicemente  in  conseguenza  della

     peculiare struttura del mio “senso interno”. Uomini futuri vivono già da ora e se, al momento
     presente, essi non si presentano ancora come viventi, è sempre per colpa di quella struttura del
     senso interno. A questo punto si chiede di tutte le cose: “Come possono l’inizio e la fine della
     stessa vita cosciente, insieme a tutti i suoi sensi interni ed esterni, esistere semplicemente nella

     concezione  del  senso  interno?” È  un  dato  di  fatto  che  la  realtà  del  mutamento  non  si  possa
     assolutamente negare. Gettata dalla finestra essa rientrerà dalla porta. Dicendo “semplicemente
     mi  sembra  che  gli  stati  e  le  rappresentazioni  mutino”,  questa  stessa  apparenza  è  tuttavia
     qualcosa  di  oggettivamente  esistente  e,  in  essa,  la  successione  possiede  una  realtà

     indubbiamente oggettiva, cioè in quella apparenza qualcosa segue effettivamente qualcos’altro.
     Si  deve  inoltre  osservare  che  l’intera  critica  della  ragione  trova  legittimità  e  fondamento
     unicamente presupponendo che le nostre stesse rappresentazioni appaiano così come sono. Se
     anche le rappresentazioni ci apparissero infatti in modo diverso da come sono veramente, allora

     neppure  su  di  esse  si  potrebbero  fare  affermazioni  valide  e  non  si  riuscirebbe  a  realizzare
     alcuna teoria della conoscenza, né condurre alcuna indagine “trascendentale” dotata di validità
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     oggettiva» .
       La considerazione di questa mobilità e di questa successione, certa oltre ogni dubbio, ha spinto

     Anassagora  ad  avanzare  un’ipotesi  degna  di  riguardo.  Evidentemente  le  rappresentazioni
     muovono se stesse, non vengono affatto spinte e non possiedono alcuna causa del movimento
     all’infuori  di  sé.  C’è  dunque  qualcosa,  egli  si  disse,  che  porta  in  sé  l’origine  e  l’inizio  del

     movimento. In un secondo momento, egli nota però che queste rappresentazioni non muovono
     soltanto se stesse, bensì anche qualcosa di assolutamente diverso: il corpo. Egli scopre dunque,
     nell’esperienza più immediata, un effetto esercitato dalle rappresentazioni sulla materia estesa,
     effetto che si dà a conoscere come movimento di quest’ultima. Ciò valse per Anassagora come
     dato  di  fatto:  soltanto  incidentalmente  si  sentì  spinto  a  chiarirlo.  Insomma,  egli  aveva  uno

     schema  regolativo  per  il  movimento  nel  mondo,  movimento  che  egli  pensava  ora  o  come  un
     movimento delle vere, isolate essenze per opera dell’agente della rappresentazione, cioè del
     nous, oppure come movimento per opera di qualcosa già in movimento. Gli è apparentemente

     sfuggito  il  fatto  che  quest’ultimo  tipo  di  movimento,  cioè  la  trasposizione  meccanica  di
     movimento  e  urti,  introdotto  nella  sua  ipotesi  di  base,  contiene  comunque  un  problema:  la
     dimensione banale e quotidiana dell’effetto che si esercita attraverso l’urto finì per rendere lo
     sguardo di Anassagora cieco di fronte all’enigmaticità di questo fenomeno. Egli al contrario
     avvertiva fin troppo bene la natura problematica, anzi contraddittoria, di un effetto esercitato da

     rappresentazioni su sostanze essenti in sé, e cercò perciò di ricondurre anche questo effetto ad
     un meccanico spingersi ed urtarsi che fosse per lui comprensibile. In ogni caso, anche il nous
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