Page 69 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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Per superare una siffatta argomentazione, gli avversari dell’immobile unità eleatica
incapparono in un pregiudizio derivante dalla sensibilità. Sembra un fatto inoppugnabile che
ogni cosa veramente essente sia un corpo che occupa spazio, una porzione di materia grande o
piccola ma, in ogni caso, spazialmente estesa. Partendo da questo presupposto Anassagora
ipotizzò, come più tardi Democrito, che questi corpi dovessero urtarsi quando andavano a finire
l’uno sull’altro, che si contendessero cioè il medesimo spazio e che questa lotta causasse tutti i
loro mutamenti. In altre parole: quelle sostanze, totalmente isolate, intimamente diverse l’una
dall’altra e eternamente immutabili, erano pensate però non come totalmente eterogenee, bensì
come aventi, oltre ad una qualità specifica e assolutamente peculiare, anche un sostrato in tutte
assolutamente identico: esse erano cioè pezzi di materia occupanti spazio. Nella comune
partecipazione alla materia, tali sostanze erano tutte uguali e potevano perciò agire una
sull’altra, vale a dire urtarsi. In generale, ogni mutamento non dipendeva da ciò che le sostanze
avevano di differente, bensì da ciò che avevano di identico, ossia dalla materia. Una
disattenzione logica è alla base delle ipotesi fatte da Anassagora a questo proposito: ciò che in
sé veramente è, deve essere assolutamente incondizionato e unitario, e non gli è perciò
consentito presupporre nulla come propria origine, mentre tutte quelle sostanze di Anassagora
hanno ancora qualcosa che le condiziona, la materia, della quale presuppongono già l’esistenza.
Ad esempio, la sostanza «rosso» non era per Anassagora soltanto rosso in sé, bensì era inoltre,
implicitamente, un pezzo di materia privo di qualità. Unicamente per mezzo di esso il «rosso in
sé» agiva su altre sostanze: cioè non con il rosso, bensì con ciò che non è rosso, né colorato e
che, in generale, non è qualitativamente determinato. Se il rosso venisse preso in considerazione
rigorosamente come rosso, come la sostanza vera e propria, dunque prescindendo da quel
sostrato, Anassagora non avrebbe allora osato parlare di un effetto esercitato dal rosso su altre
sostanze, magari addirittura dicendo che il «rosso in sé» continuerebbe a trasmettere il
movimento ricevuto dal «corporeo in sé» attraverso l’urto. In tal caso sarebbe chiaro che un
siffatto vero essente non potrebbe mai venire mosso.