Page 64 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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divisibile all’infinito: il tempo che serve alla freccia dovrebbe consistere in un numero limitato
di momenti temporali, ognuno di questi momenti dovrebbe essere un atomo – idea assurda! Tutte
le nostre rappresentazioni conducono a delle contraddizioni non appena il loro contenuto,
empiricamente dato e attinto da questo mondo intuitivo, viene assunto come veritas aeterna. Se
ci fosse movimento assoluto, non ci sarebbe allora uno spazio; se d’altronde ci fosse uno spazio
assoluto, non ci sarebbe movimento; se ci fosse un essere assoluto, non ci sarebbe pluralità. Se
ci fosse un’assoluta pluralità, allora non potrebbe darsi unità. Con ciò dovrebbe essere divenuto
chiaro a chiunque quanto poco, con concetti siffatti, noi tocchiamo il cuore delle cose o
sciogliamo i nodi della realtà: Parmenide e Zenone, al contrario, tenevano ferma la verità e
validità universale dei concetti, rigettando il mondo intuitivo come il contrario dei concetti veri
e universalmente validi, ossia come oggettivazione dell’illogico e del contraddittorio. In tutte le
loro dimostrazioni essi partono dalla premessa totalmente indimostrabile, anzi inverosimile, che
la nostra facoltà concettuale detenga il decisivo, supremo criterio per discriminare l’essere dal
non essere, la realtà oggettiva dal suo contrario: i concetti non devono essere dimostrati efficaci
e corretti dalla realtà, pur essendo effettivamente derivati da essa, ma, al contrario, sono questi
a dover misurare e giudicare la realtà e, nel caso che essa entri in contraddizione con la logica,
addirittura condannarla. Per poter accordare ai concetti questa autorità di giudizio, Parmenide
dovette attribuire ad essi quell’unico essere che ammetteva come tale: il pensiero e quell’unica,
ingenerata, compiuta sfera dell’essente dovevano ora essere intesi come nient’altro che due
diversi generi dello stesso essere, dato che una duplicità dell’essere non era ammissibile. Così
si rese necessario l’espediente, straordinariamente ardito, di dichiarare identici il pensiero e
l’essere: nessuna forma dell’intuizione, nessun simbolo, nessuna similitudine poteva essere
d’aiuto in questo caso. Questa identità era del tutto impossibile da raffigurare, ma era tuttavia
necessaria e anzi, mancando di ogni possibilità di rappresentazione sensibile, essa celebrava il
massimo trionfo sul mondo e sulle richieste dei sensi. Secondo l’imperativo di Parmenide, il
pensiero e quell’essere bitorzoluto, tondeggiante, morto fin nelle sue più intime fibre, massiccio
e rigidamente immobile dovevano, a dispetto di tutte le fantasie, coincidere ed essere una sola e
stessa cosa. Possa questa identità contraddire i sensi! Ciò è appunto garanzia del fatto che non è
mutuata da essi.