Page 67 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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CAPITOLO XIV
Con questa rappresentazione abbiamo già mosso un passo nel territorio della dottrina di
Anassagora. Con grande forza egli muove a Parmenide due obiezioni, quella del pensiero in
movimento e quella dell’origine dell’apparenza. Nella sua dottrina capitale Parmenide ha
tuttavia soggiogato Anassagora, come del resto tutti i successivi filosofi e indagatori della
natura. Tutti loro negano la possibilità del divenire e del perire così come la intende il senso
comune e così come Anassimandro e Eraclito, con più profonda riflessione e tuttavia ancora
sconsideratamente, l’avevano assunta. Un siffatto mitologico sorgere dal nulla, sparire nel nulla,
un tanto arbitrario mutamento del nulla nel qualcosa, lo scambiarsi, l’attrarsi e il respingersi a
piacimento delle qualità fra di loro, venne d’ora in avanti considerato privo di senso: ma
parimenti insensato, e in base alle medesime ragioni, venne considerato anche lo scaturire dei
molti dall’uno, il sorgere di molteplici qualità dall’unica qualità originaria, in breve: l’ipotesi
che il mondo scaturisca da una materia primordiale, alla maniera di Talete o di Eraclito. Ora si
poneva piuttosto il vero problema di trasporre al mondo presente la dottrina dell’essere
ingenerato e imperituro, senza rifugiarsi nella teoria dell’apparenza e dell’inganno attraverso i
sensi. Ma se il mondo empirico non deve essere apparenza, se le cose non sono derivate dal
nulla e neppure dall’unico qualcosa, queste stesse cose devono allora contenere un vero essere,
la loro materia e il loro contenuto deve necessariamente essere reale e ogni mutamento può
riguardare unicamente la forma, vale a dire la posizione, l’ordine, il raggruppamento, la
mescolanza e la separazione di queste essenze eterne e simultaneamente esistenti. È come in un
gioco di dadi: i dadi sono sempre gli stessi, ma cadendo in modo nuovo ad ogni lancio
significano per noi qualcosa di diverso. Tutte le più antiche teorie erano risalite a un elemento
originario quale grembo e origine del divenire, fosse esso l’acqua, la terra, il fuoco o
l’indeterminato di Anassimandro. Al contrario, Anassagora ritiene che dal simile non possa mai
scaturire il dissimile e che il mutamento non possa mai essere spiegato partendo da un unico
essente. Sia che si pensi di diluire, sia che si pensi di addensare quell’unica materia ipotizzata,
giammai si raggiungerà, per mezzo di una tale diluizione o addensamento, ciò che si desidera
spiegare: la pluralità delle qualità. Ma essendo il mondo effettivamente pieno delle più diverse
qualità, queste dovranno, nel caso che non siano apparenza, possedere un essere, vale a dire
dovranno risultare eterne, ingenerate, imperiture e sempre esistenti contemporaneamente. Esse
d’altra parte non possono essere apparenza, poiché la questione dell’origine dell’apparenza
rimane irrisolta, anzi ad essa viene fornita una risposta negativa. Gli indagatori più antichi