Page 65 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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CAPITOLO XIII
Si potevano d’altronde sollevare contro Parmenide anche un paio di potenti argumenta ad
hominem o ex concessis, attraverso i quali portare alla luce non già la verità, bensì piuttosto la
non verità di quell’assoluta separazione tra mondo sensibile e mondo concettuale e dell’identità
di essere e pensiero. Innanzitutto: se il pensiero della ragione è reale nei concetti, allora devono
essere reali anche la pluralità e il movimento, perché il pensiero razionale è mosso, ossia
consiste in un movimento di concetto in concetto, cioè entro una pluralità di realtà. A fronte di
tale argomentazione non c’è scusa che tenga: è assolutamente impossibile designare il pensiero
come una rigida stasi, come un’unità che, eternamente immobile, pensa se stessa. In secondo
luogo: se dai sensi provengono unicamente illusione e apparenza, e se in verità esiste soltanto la
reale identità di essere e pensiero, che cosa sono allora i sensi stessi? Sono in ogni caso ancora
e soltanto apparenza: essi infatti non coincidono con il pensiero; né d’altra parte il loro
prodotto, il mondo dei sensi, coincide con l’essere. Ma se i sensi stessi sono apparenza, per chi
lo sono? Come possono, in quanto non reali, creare tuttavia ancora illusioni? Ciò che non è, non
può neppure ingannare. L’origine dell’illusione e dell’apparenza rimane dunque un enigma, anzi
una contraddizione. Noi denominiamo questi argumenta ad hominem: obiezione della ragione in
movimento e obiezione dell’origine dell’apparenza. Accogliendo la prima, seguirebbe la realtà
del movimento e della pluralità; accogliendo la seconda, l’impossibilità dell’apparenza
parmenidea: tutto questo sempre presupponendo che si ritenga fondata la dottrina capitale di
Parmenide, quella dell’essere.
Questa dottrina capitale si limita però a dire: «soltanto l’essente ha un essere, il non essente
non è». Ma se il movimento è un essere siffatto, anche per esso deve valere quanto in generale e
in ogni caso si dice dell’essente, e cioè che sia ingenerato, eterno, indistruttibile, senza
incremento né diminuzione. E se l’apparenza, con l’aiuto di quella domanda sulla sua origine,
viene eliminata da questo mondo, preservando così dalla condanna parmenidea la scena del
cosiddetto divenire, del mutamento, della nostra multiforme, frenetica, variopinta e ricca
esistenza, è allora necessario caratterizzare questo mondo del mutamento e della trasformazione
come una somma di tali essenze, le quali veramente sono ed esistono inoltre per tutta l’eternità.
Anche ammesso questo, non si può comunque certamente parlare di un mutamento in senso
stretto, di un divenire. Ma perlomeno ora la pluralità possiede un vero essere, tutte le qualità
possiedono un vero essere e, non meno, lo possiede il movimento. Di ogni momento di questo
mondo – anche se questi momenti, scelti arbitrariamente, distassero millenni l’uno dall’altro –