Page 45 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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una forza in due attività qualitativamente distinte, contrapposte e tendenti alla riunificazione.
Ogni qualità si scinde continuamente, dividendosi in una coppia di contrari: continuamente
questi contrari tendono poi a una riunificazione. Il popolo certamente crede di conoscere
qualcosa di fisso, compiuto, durevole: in verità, luce e tenebra, amaro e dolce sono in ogni
momento l’uno sull’altro e avvinghiati l’uno all’altro, come due lottatori che prendono
alternativamente il sopravvento. Secondo Eraclito, il miele è al tempo stesso dolce ed amaro, e
il mondo stesso è una miscela che deve essere continuamente agitata. Dalla guerra tra gli
opposti sorge tutto il divenire: le qualità determinate, che ci appaiono come durevoli, esprimono
solamente la momentanea prevalenza di uno dei combattenti; ma non per questo la guerra è
giunta al termine: la lotta continua per l’eternità. Tutto si svolge in conformità a questa contesa e
proprio questa contesa rivela l’eterna giustizia. Si tratta di una rappresentazione mirabile,
scaturita dalla sorgente più pura della natura ellenica, la quale considera la contesa come
dominio ininterrotto di una giustizia unitaria, rigorosa e vincolata a leggi eterne. Soltanto un
greco poteva trovare questa rappresentazione a fondamento di una cosmodicea: essa è la buona
Eris di Esiodo, trasfigurata in un principio cosmico; è il pensiero agonistico del singolo greco e
dello Stato greco che, dai ginnasi e dalle palestre, dalle competizioni artistiche, dalle lotte dei
partiti politici e delle città fra di loro, viene trasposto in una dimensione universale, così da far
ruotare in esso l’ingranaggio del cosmo. Ogni greco lotta come se egli soltanto fosse nel giusto e
come se in ogni istante ci fosse il verdetto di un giudice a determinare, con metro infinitamente
sicuro, da quale parte pende la vittoria: allo stesso modo lottano le qualità tra di loro, secondo
leggi e criteri perenni che sono immanenti alla lotta. Le cose stesse, alla cui saldezza e
permanenza crede la mente ottusa dell’uomo e dell’animale, non hanno affatto un’esistenza
propria: esse sono il lampo e la scintilla tra spade sguainate, sono il risplendere della vittoria
nella lotta tra qualità contrapposte. Quella lotta che interessa tutto il divenire, quell’eterna
alternanza della vittoria, è di nuovo descritta da Schopenhauer: «La materia che persiste deve
cambiar forma costantemente mentre, guidate dalla causalità, le apparenze meccaniche, fisiche,
chimiche, organiche, spingono bramose per manifestarsi, strappandosi a vicenda la materia
perché ognuna di esse vuole rivelare la propria idea. Si può seguire questa contesa attraverso
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tutta la natura, anzi la natura stessa non sussiste che per mezzo di essa» . Le pagine seguenti
forniscono le illustrazioni di questa contesa che maggiormente sono degne di rilievo: il loro
tono di fondo rimane tuttavia sempre diverso da quello di Eraclito, in quanto per Schopenhauer
la lotta è una prova della scissione interna alla volontà di vivere, è un divorare se stesso da
parte di questo oscuro e sordo impulso, è un fenomeno sempre terrificante che in nessun modo
dà gioia. Campo e oggetto di questa lotta è la materia; le forze naturali cercano di sottrarsi
vicendevolmente questa materia, come fanno pure lo spazio e il tempo, la cui riunione per mezzo
della causalità costituisce appunto la materia.