Page 47 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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fisici, è il gioco del fuoco con se stesso: soltanto in questo senso l’Uno è allo stesso tempo i
Molti.
Per spiegare in primo luogo l’introduzione del fuoco quale forza che costruisce il mondo,
voglio ricordare in quale modo Anassimandro aveva perfezionato la teoria dell’acqua come
origine delle cose. Pur accordando sostanzialmente fiducia a Talete e pur rinforzando e
accrescendo le sue osservazioni, Anassimandro non riusciva però a convincersi che, prima
dell’acqua e, per così dire, dietro l’acqua, non ci fosse un ulteriore grado qualitativo: gli
sembrava piuttosto che l’umido stesso fosse costituito dal caldo e dal freddo, e che il caldo e il
freddo dovessero perciò essere gli stadi preparatori dell’acqua, le qualità ancora più originarie.
Con l’espulsione di queste qualità dall’essere originario dell’«indeterminato» inizia il divenire.
Eraclito, che si riconosce, in quanto fisico, subordinato all’importanza di Anassimandro,
interpreta questo calore in modo nuovo, ossia come soffio, come alito caldo, come esalazione
secca, in breve: come elemento igneo. Di questo fuoco egli dice peraltro lo stesso che Talete e
Anassimandro avevano già detto dell’acqua: esso percorrerebbe la via del divenire attraverso
innumerevoli metamorfosi, comparendo soprattutto nei tre stadi principali del caldo,
dell’umido, del solido. Difatti l’acqua diventa in parte terra, scendendo, e in parte fuoco,
salendo o, come più precisamente sembra essersi espresso Eraclito: dal mare salgono soltanto
le esalazioni pure che servono da nutrimento al fuoco celeste degli astri, mentre dalla terra
salgono soltanto quelle oscure, nebulose, dalle quali l’umido trae il suo nutrimento. Le
esalazioni pure costituiscono la transizione dal mare al fuoco, quelle impure la transizione dalla
terra all’acqua. Senza posa corrono così le due vie di metamorfosi del fuoco: verso l’alto e
verso il basso, avanti e indietro, l’una accanto all’altra, dal fuoco all’acqua, dall’acqua alla
terra, poi di nuovo indietro dalla terra all’acqua, e dall’acqua al fuoco. Mentre Eraclito è un
seguace di Anassimandro per le più importanti fra queste rappresentazioni, ad esempio per il
fatto che il fuoco venga sostentato attraverso le esalazioni o che dall’acqua si separi in parte la
terra, in parte il fuoco, egli risulta invece indipendente e in contrasto con lui nell’escludere il
freddo dal processo fisico. Anassimandro aveva infatti posto il freddo accanto al caldo con pari
diritti, per far poi sorgere da entrambi l’umido. Questo distacco fu naturalmente per Eraclito una
necessità: perché se tutto deve essere fuoco, non potrà allora darsi nulla, in tutte le diverse
possibilità di conversione del fuoco, che risulti assoluto contrario di esso. Eraclito interpretò
dunque ciò che viene chiamato freddo esclusivamente come grado del caldo e riuscì a
legittimare questa interpretazione senza difficoltà. Ma, molto più importante di questo
allontanamento dalla dottrina di Anassimandro, è un’ulteriore concordanza: come
Anassimandro, anche Eraclito crede in una fine del mondo che si ripete periodicamente e ad un
sempre rinnovato risorgere di un altro mondo dall’incendio cosmico che tutto distrugge. Il
periodo in cui il mondo corre incontro a quell’incendio cosmico e alla dissoluzione nel fuoco
puro viene da lui caratterizzato, in modo assai notevole, come una brama e un bisogno, mentre
l’essere completamente divorato dal fuoco è caratterizzato come sazietà. Ci rimane ancora da
chiederci come egli abbia compreso e denominato il risorto nuovo impulso alla costruzione del
mondo, il riversarsi delle forme nella pluralità. Un detto greco sembra venirci in aiuto, con il
pensiero che: «la sazietà genera l’empietà (hybris)». In effetti ci si può chiedere per un istante