Page 49 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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CAPITOLO VII
Quella parola pericolosa, hybris, è in effetti il banco di prova per ogni seguace di Eraclito: essa
fornisce l’occasione di mostrare se tale seguace abbia compreso o frainteso il suo maestro. Si
danno, in questo mondo, colpa, ingiustizia, contraddizione, dolore?
Sì, esclama Eraclito, ma soltanto per l’uomo limitato, che guarda le cose separate l’una
dall’altra e non insieme, non già per il dio che intuisce la loro unità: per quest’ultimo tutte le
cose contrastanti confluiscono in un’unica armonia, certamente invisibile al comune occhio
umano ma comprensibile a chi, come Eraclito, assomiglia al dio contemplativo. Di fronte al suo
sguardo di fuoco non rimane alcuna lacrima di ingiustizia nel mondo disteso intorno a lui; e
persino quello scandalo capitale, come cioè il fuoco puro possa assumere forme tanto impure,
viene da lui superato con una similitudine sublime. Un divenire e un perire, un costruire e un
distruggere, privi di qualsivoglia imputazione morale, in un’innocenza eternamente uguale, si
trovano in questo mondo unicamente nel gioco dell’artista e del bambino. E come giocano il
bambino e l’artista, così il fuoco eternamente vivo gioca, costruisce e distrugge con innocenza e
questo è il gioco che l’Eone gioca con se stesso. Trasformandosi in acqua e terra esso ammassa
cumuli di sabbia come un bambino in riva al mare, li ammassa e poi li demolisce; di tanto in
tanto esso riprende il gioco da capo. Un attimo di sazietà: poi il bisogno lo assale nuovamente,
così come il bisogno costringe l’artista a creare. Non è l’empietà, bensì l’impulso di gioco,
sempre ridestantesi, a chiamare alla vita altri mondi. Talvolta il bambino getta via il giocattolo:
subito però lo riprende, per innocente capriccio. Ma non appena costruisce, egli collega,
dispone e forma in conformità ad una legge e seguendo una disposizione interiore.
Soltanto l’uomo estetico contempla il mondo in questo modo: egli ha imparato dall’artista e
dal sorgere dell’opera d’arte come la contesa della molteplicità possa portare in sé legge e
diritto; come l’artista sia allo stesso tempo contemplativo e agente rispetto alla propria opera e
come necessità e gioco, conflitto e armonia, debbano accoppiarsi per generare l’opera d’arte.
Chi potrà, da una filosofia siffatta, pretendere ancora un’etica, con il necessario imperativo «tu
devi», o addirittura rimproverare a Eraclito una tale mancanza! L’uomo è necessità fin nelle sue
più intime fibre ed è assolutamente «non libero» – se per libertà si intende la folle pretesa di
poter mutare arbitrariamente la propria essentia così come ci si cambia d’abito, pretesa che
finora ogni filosofia seria ha respinto con il dovuto scherno. Che così pochi uomini vivano con
consapevolezza nel logos e in conformità all’occhio dell’artista che tutto abbraccia con lo
sguardo, è dovuto al fatto che le loro anime sono umide e che gli occhi e le orecchie dell’uomo,