Page 46 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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CAPITOLO VI
Mentre l’immaginazione di Eraclito misurava l’intero universo in perenne movimento,
l’«effettualità», con lo sguardo dello spettatore felice che vede le innumerevoli coppie di
opposti lottare in una gara gioiosa sotto il controllo di giudici severi, egli venne sopraffatto da
un presentimento ancor più alto. Eraclito non riusciva più a considerare le coppie di lottatori e i
giudici come distinti gli uni dagli altri: i giudici stessi sembravano coinvolti nella lotta e i
lottatori parevano giudicarsi e, dato che in fondo egli percepiva soltanto l’eterno dominio di
un’unica giustizia, osò esclamare: «la stessa contesa dei molti è l’unica giustizia! E, in generale,
l’Uno è i Molti. Cosa sono infatti tutte quelle qualità nella loro essenza? Sono forse dèi
immortali? Sono forse esseri separati, agenti per se stessi dal principio e senza fine? E se il
mondo che vediamo è soltanto divenire e perire, e non conosce persistenza alcuna, quelle
qualità dovrebbero allora costituire addirittura un mondo di natura diversa, metafisico, cioè non
un mondo dell’unità, quale Anassimandro cercava dietro il velo fluttuante della pluralità, ma un
mondo di eterne e essenziali pluralità?». Che Eraclito sia forse giunto di nuovo, per vie
traverse, all’ordine cosmico duplice che tanto vigorosamente negava, con un Olimpo di
numerosi dèi e demoni immortali – cioè di molte realtà – e con un mondo umano che vede
soltanto la nuvola di polvere sollevata dalla lotta olimpica e lo scintillio delle lance divine –
vale a dire soltanto un divenire? Proprio per sfuggire alle qualità determinate Anassimandro si
era rifugiato nel grembo del metafisico «indeterminato»: poiché queste nascevano e perivano,
egli aveva negato loro un’esistenza vera e sostanziale. Ma ora non sembrava forse che il
divenire fosse soltanto il manifestarsi di una lotta tra qualità eterne? Se parliamo del divenire,
ciò non dovrà forse essere attribuito alla debolezza intrinseca della conoscenza umana – mentre
nell’essenza delle cose non ci sarebbe proprio alcun divenire, bensì unicamente una coesistenza
di molte, autentiche, ingenerate e indistruttibili realtà?
Queste sono però scappatoie e piste false non degne di Eraclito. Ancora una volta egli
esclama: «l’Uno è i Molti». Le molte qualità percepibili non sono né eterne essenze, né fantasmi
dei nostri sensi (come eterne essenze le penserà in seguito Anassagora, come fantasmi
Parmenide); esse non sono né un rigido essere, sovrano su se stesso, né una fuggevole apparenza
che muta nelle menti umane. La terza possibilità, l’unica che rimanga ad Eraclito, non potrà
essere indovinata da nessuno con l’abilità dialettica e, per così dire, calcolando: ciò che egli a
questo punto scoprì è infatti una rarità persino nell’ambito delle incredibili conoscenze mistiche
e delle inattese metafore cosmiche. Il mondo è il gioco di Zeus, ovvero, espresso in termini