Page 50 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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e in generale il suo intelletto, sono cattivi testimoni quando del «fango umido prende possesso
     delle loro anime». La ragione per cui le cose stiano così non viene chiesta, così come non viene
     domandato  perché  il  fuoco  diventi  acqua  e  terra.  Eraclito  non  ha  alcun  motivo  per  dover

     dimostrare (come Leibniz) che questo mondo è addirittura il migliore di tutti, gli basta il fatto
     che esso sia il gioco bello e innocente dell’Eone. Egli addirittura considera l’uomo in generale
     come un essere irrazionale, senza con ciò contestare il fatto che, in tutto il suo essere, si compia
     la  legge  dell’onnipotente  ragione.  L’uomo  non  occupa  affatto  una  posizione  particolarmente

     privilegiata  nella  natura,  la  cui  manifestazione  più  alta  è  il  fuoco,  ad  esempio  sottoforma  di
     stelle, e non certo lo sciocco uomo. Se questo ha ricevuto in dote dalla necessità una parte di
     fuoco, allora è un po’ più razionale; nella misura in cui è invece costituito da acqua e terra, per
     la sua ragione le cose si mettono male. Un obbligo di conoscere il logos per il semplice fatto di

     essere  uomo,  non  esiste.  Ma  perché  c’è  l’acqua,  perché  la  terra?  Questo  è  per  Eraclito  un
     problema molto più serio di quanto non lo sia invece il domandarsi perché gli uomini siano
     tanto  stupidi  e  scadenti.  Nell’uomo  migliore,  come  in  quello  peggiore,  si  rivela  la  stessa
     immanente legalità e giustizia. Ma se Eraclito volesse avanzare la questione: «perché il fuoco

     non è sempre fuoco, perché esso è a volte acqua, a volte terra?», egli risponderebbe allora: «è
     un gioco, non prendetelo in modo così drammatico e, soprattutto, non prendetelo come un fatto
     morale!».  Eraclito  descrive  unicamente  il  mondo  presente  e  trova  in  esso  lo  stesso  piacere
     contemplativo con cui l’artista rimira la propria opera. Soltanto coloro che hanno motivi per

     non  essere  soddisfatti  della  sua  descrizione  della  natura  umana  trovano  Eraclito  cupo,
     melanconico,  lacrimevole,  tetro,  bilioso,  pessimista  e,  in  generale,  odioso.  Ma  egli  avrebbe
     considerato con indifferenza costoro, nelle loro antipatie e simpatie, nel loro odio e amore, e
     avrebbe forse fornito loro insegnamenti come: «i cani abbaiano a chi non conoscono», o «per

     l’asino la pula è preferibile all’oro».
       Da  tali  uomini  scontenti  provengono  anche  le  numerose  lamentele  per  l’oscurità  dello  stile
     eracliteo: probabilmente non ci fu uomo che scrisse in modo più chiaro e luminoso. Certamente
     in modo assai conciso, e perciò oscuro per i lettori frettolosi. Ma che un filosofo debba scrivere

     intenzionalmente  in  modo  oscuro  –  come  si  suole  dire  di  Eraclito  –  è  assolutamente
     inspiegabile:  a  meno  che  non  abbia  motivo  di  dissimulare  i  propri  pensieri  o  sia
     sufficientemente disonesto per nascondere sotto le parole la propria mancanza di idee. Ma se,
     come dice Schopenhauer, persino nelle faccende della vita pratica abituale si deve aver cura di

     prevenire, con la chiarezza, possibili fraintendimenti, come si potrà allora esprimersi in modo
     confuso,  anzi  enigmatico,  nei  problemi  della  filosofia,  che  sono  gli  oggetti  più  complicati,
     astrusi e difficili da cogliere? Per quanto riguarda poi la concisione, è Jean Paul a fornire un
     buon insegnamento: «Nel complesso è giusto che ogni cosa grande – ricca di significato per la

     mente eccezionale – venga espressa unicamente in modo conciso e (perciò) oscuro, affinché lo
     spirito volgare preferisca dichiararla un’insensatezza piuttosto che tradurla nel proprio vuoto di
     senso.  Gli  spiriti  volgari  hanno  infatti  una  brutta  attitudine  a  ritrovare  nelle  sentenze  più
     profonde e ricche null’altro che la loro propria opinione quotidiana». D’altronde, e nonostante

     ciò,  Eraclito  non  è  riuscito  a  sfuggire  agli  «spiriti  volgari»:  già  gli  Stoici  lo  hanno  male
     interpretato, cioè l’hanno interpretato in modo piatto, abbassando la sua fondamentale visione
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