Page 55 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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separazione risultante da un duplice ordine del mondo. Quel salto nell’indeterminato,
nell’indeterminabile, con il quale Anassimandro era fuggito una volta per tutte dal regno del
divenire e dalle sue qualità empiricamente date, non era facile da compiere per delle menti di
natura tanto indipendente come erano quelle di Eraclito e Parmenide: essi cercarono prima di
camminare, fin dove potevano, conservandosi il salto per quel luogo in cui non si trovi più
appoggio per il piede e si sia costretti a saltare per non cadere. Entrambi contemplarono a più
riprese proprio quel mondo che Anassimandro aveva tanto melanconicamente condannato, e che
aveva illustrato come luogo di empietà e al tempo stesso di espiazione per l’ingiustizia del
divenire. Nella sua contemplazione, Eraclito scoprì, come noi già sappiamo, quale mirabile
ordine e regolarità e sicurezza si rivelino in ogni divenire: dalla qual cosa concluse che il
divenire come tale non poteva essere nulla di empio né di ingiusto. Parmenide ricavò una
visione del tutto differente: egli mise a confronto le qualità e credette di scoprire che queste non
sono tutte della stessa natura, bensì devono essere ordinate in due classi. Confrontando ad
esempio il luminoso e l’oscuro, la seconda qualità risultava palesemente essere soltanto la
negazione della prima. Così Parmenide distinse qualità positive e negative, seriamente
preoccupato di ritrovare e registrare quell’opposizione fondamentale in tutto il regno della
natura. Nel fare questo il suo metodo era il seguente: egli prendeva una coppia di opposti, ad
esempio leggero e pesante, rarefatto e denso, attivo e passivo, e li confrontava con
l’opposizione di luminoso e oscuro, assunta come modello. Ciò che corrispondeva al luminoso
era la qualità positiva, mentre ciò che corrispondeva all’oscuro era la qualità negativa. Ad
esempio, considerando il pesante e il leggero, il leggero ricadeva sul versante del luminoso,
mentre il pesante sul versante dell’oscuro: e così Parmenide considerava il pesante
esclusivamente come la negazione del leggero, e il leggero invece come una qualità positiva.
Già da questo metodo emerge un’attitudine caparbia, sorda ai suggerimenti dei sensi, per la
procedura logico-astratta. Il pesante sembrava infatti offrirsi insistentemente ai sensi come
qualità positiva, ma ciò non impedì a Parmenide di bollarlo come negazione. Parimenti egli
designò esclusivamente come negazioni: la terra, in opposizione al fuoco; il freddo in
opposizione al caldo; il denso in opposizione al rarefatto; il femminile in opposizione al
maschile; il passivo in opposizione all’attivo. Davanti al suo sguardo il nostro mondo empirico
si divideva così in due sfere distinte: quella delle qualità positive – avente carattere luminoso,
infuocato, caldo, leggero, rarefatto, agente e maschile – e quella delle qualità negative. Queste
ultime esprimevano soltanto la mancanza, l’assenza delle altre, ossia delle qualità positive: egli
descrisse quindi la sfera in cui mancavano le qualità positive come avente un carattere oscuro,
terroso, freddo, pesante, denso e, in generale, femminile e passivo. Al posto delle espressioni
«positivo» e «negativo» Parmenide adoperò i termini fissi di «essente» e «non essente»,
giungendo così, in contrasto con Anassimandro, al teorema che questo nostro mondo contenga
come tale qualcosa che è e, naturalmente, anche qualcosa che non è. Non si dovrebbe cercare
ciò che è fuori dal mondo e, per così dire, al di là del nostro orizzonte: è piuttosto davanti a noi
e dappertutto, in ogni divenire, che è contenuto e agisce qualcosa che è.
Con ciò gli rimaneva però ancora il compito di fornire una risposta più precisa alla domanda:
«che cos’è il divenire?». Questo fu il momento in cui dovette saltare per non cadere, sebbene