Page 57 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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CAPITOLO X
Ma nessuno allunga impunemente le mani su astrazioni tanto terribili quali «l’essente» e il «non
essente»: nel toccarle, il sangue a poco a poco si gela. Ci fu un giorno nel quale Parmenide ebbe
un’idea singolare: essa sembrava privare di valore tutti i suoi ragionamenti precedenti, così che
gli venne voglia di gettarli via come una borsa di vecchie monete consunte. Si è propensi a
credere che, sulla scoperta di quel giorno, abbia influito non soltanto la cogenza, avvertita
internamente, di concetti come «essente» e «non essente», bensì anche un’impressione esterna,
vale a dire la conoscenza stretta con la teologia del vecchio Senofane di Colofone, rapsodo che
aveva viaggiato in lungo e in largo e cantore di una mistica divinizzazione della natura. Come
poeta errante, Senofonte condusse un’esistenza straordinaria e, grazie ai suoi viaggi, divenne un
uomo assai erudito e capace di impartire molti insegnamenti; egli sapeva domandare e
raccontare, ragion per cui Eraclito lo annoverò tra i polistori e, in generale, tra le nature
«storiche». Come e quando egli sia giunto al passaggio mistico nell’Uno ed eternamente Quieto,
nessuno potrà mai appurarlo: forse si tratta della concezione di un uomo divenuto infine vecchio
e sedentario al quale, dopo la turbolenza delle peregrinazioni e l’instancabile apprendere e
ricercare, la cosa più grandiosa e sublime compare innanzi all’anima nella visione di una quiete
divina, nella visione della stasi di tutte le cose all’interno di una panteistica pace primordiale.
Mi sembra d’altronde puramente casuale il fatto che, proprio nello stesso luogo, a Elea, vissero
insieme per un certo periodo di tempo due uomini, ciascuno dei quali aveva in testa una
concezione dell’unità: essi non formano alcuna scuola e non hanno nulla in comune che l’uno
avrebbe, per così dire, potuto imparare dall’altro per poi continuare a insegnarlo. L’origine di
quella concezione dell’unità è infatti nell’uno totalmente diversa che nell’altro, anzi addirittura
opposta, e se uno di loro venne mai a conoscenza della dottrina dell’altro, dovette certamente,
anche soltanto per comprenderla, trasporla prima nella sua propria lingua. Ma, in ogni caso, in
questa trasposizione sarebbe andato perduto lo specifico della dottrina dell’altro. Se Parmenide
pervenne all’unità di ciò che è esclusivamente per mezzo di una presunta coerenza logica, cioè
sviluppandola dai concetti di essere e non essere, Senofane è invece un mistico religioso e, con
la sua unità mistica, dimostra esattamente di appartenere al sesto secolo. Sebbene non fosse una
personalità tanto rivoluzionaria come Pitagora, Senofane è tuttavia animato, nei suoi viaggi, dal
medesimo impulso e dalla medesima tensione a migliorare, purificare e salvare gli uomini.
Senofane è maestro di etica, tuttavia ancora allo stadio di rapsodo: in epoca più tarda sarebbe
stato un sofista. Nell’audace condanna dei costumi e delle valutazioni vigenti, egli in Grecia non