Page 53 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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comunque pensava a ciò che mai un uomo, in tali circostanze, ha pensato: egli pensava al gioco
del grande fanciullo cosmico Zeus. Eraclito non aveva bisogno degli uomini, neppure per le sue
conoscenze; a lui non importava di tutto ciò che si poteva sapere su di loro e che gli altri saggi
prima di lui si erano premurati di domandare. Egli parlava con disprezzo di tali uomini che
domandano e raccolgono informazioni, in breve: degli uomini «storici». «Ho cercato e indagato
me stesso», diceva di sé, usando una massima con la quale viene designato il responso di un
oracolo, come se in lui e in nessun altro si fosse compiuto e realizzato il precetto delfico:
«conosci te stesso».
Ma quel che egli udì da questo oracolo, lo considerò saggezza immortale, degna di essere
eternamente interpretata e capace di esercitare un effetto di un’estensione illimitata, sul modello
dei discorsi profetici della Sibilla. Ciò è sufficiente per l’umanità più tarda: questa si farà
interpretare come sentenze oracolari ciò che egli, come il dio delfico, «non dice né nasconde».
Quantunque Eraclito vaticini «senza sorrisi, ornamenti o unguenti profumati», bensì piuttosto
come «con la schiuma alla bocca», i suoi responsi dovranno giungere fino ai secoli futuri. Il
mondo ha infatti eternamente bisogno della verità, dunque ha eternamente bisogno di Eraclito:
sebbene questi non abbia bisogno del mondo. Che cosa importa a lui della gloria? La gloria
presso «i mortali che sempre scorrono via!», come egli esclama beffardo. La sua gloria è affare
degli uomini, non suo; è l’immortalità del genere umano ad avere bisogno di lui, non lui ad aver
bisogno dell’immortalità dell’uomo Eraclito. Quel che egli contemplò, la dottrina della legge
nel divenire e la dottrina del gioco nella necessità, dovrà sempre essere contemplata d’ora in
avanti e per l’eternità: egli ha alzato il sipario su questo spettacolo immane.