Page 40 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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CAPITOLO IV
Mentre il tipo generale del filosofo emerge dall’immagine di Talete solo in modo nebuloso, già
l’immagine del suo grande successore parla a noi assai più chiaramente. Anassimandro di
Mileto, il primo scrittore filosofico dell’antichità, scrive proprio come scriverà il filosofo
tipico fin quando non verrà privato di spontaneità e ingenuità da sconcertanti pretese: egli scrive
cioè in uno stile lapidario grandiosamente stilizzato che, frase dopo frase, testimonia una nuova
illuminazione ed esprime l’indugiare in sublimi contemplazioni. Il pensiero e la sua forma sono
pietre miliari sul sentiero che conduce a quella suprema sapienza. Con tale lapidaria incisività
dice allora Anassimandro: «Dove le cose hanno la loro nascita, colà devono anche perire,
secondo necessità; esse devono infatti pagare una sanzione ed essere giudicate per i loro torti,
conformemente all’ordine del tempo». Come potremo interpretare quest’enigmatica sentenza di
un autentico pessimista, questo responso oracolare iscritto sulla pietra di confine della filosofia
greca?
L’unico moralista serio del nostro secolo ci raccomanda, alla pagina 327 del secondo volume
dei Parerga, una considerazione simile: «L’esatto criterio per giudicare un qualsiasi uomo
consiste nel ricordare che si tratta di un essere che non dovrebbe esistere affatto, il quale paga il
fìo della sua esistenza con molte forme di sofferenza e con la morte. Cosa ci si può aspettare da
un essere siffatto? Non siamo forse tutti quanti peccatori condannati a morte? Noi espiamo la
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nostra nascita in primo luogo con la vita e in secondo luogo con la morte» . Chi riesce a leggere
tale sentenza nella fisionomia della nostra comune sorte di esseri umani e riconosce la natura
fondamentalmente scadente di qualsiasi vita umana già dal fatto che nessuno tollera di essere
considerato da vicino e con attenzione, – sebbene la nostra epoca, contagiata dall’epidemia
biografica, sembri pensarla diversamente e tenere in maggiore considerazione il valore
dell’uomo –; chi dunque, come Schopenhauer, ha udito dalle «altezze dell’atmosfera indiana» la
sacra parola sul valore morale dell’esistenza, difficilmente potrà trattenersi dal coniare una
metafora altamente antropomorfa, estraendo quella triste dottrina dal campo ristretto della vita
umana e applicandola, con una trasposizione, al carattere universale dell’esistenza tutta. Ora,
considerare con Anassimandro tutto il divenire come un’emancipazione dall’eterno essere degna
di punizione, come un’ingiustizia che deve essere espiata con la morte, potrà forse non essere
logico, ma è comunque veramente umano e, oltretutto, proprio nello stile di quei balzi filosofici
descritti in precedenza. Tutto ciò che in un dato momento è sorto, di nuovo perisce, sia che
pensiamo alla vita dell’uomo, sia che pensiamo all’acqua, oppure al caldo e al freddo: ovunque