Page 36 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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CAPITOLO III









     La  filosofia  greca  comincia  con  un’idea  apparentemente  insensata,  vale  a  dire  con
     l’affermazione  che  l’acqua  è  l’origine  e  il  grembo  materno  di  tutte  le  cose.  È  veramente

     necessario soffermarci in silenzio su questo punto e prenderlo sul serio? Si, e per tre ragioni: in
     primo luogo, perché questa affermazione ci dice qualcosa sull’origine delle cose; in secondo
     luogo, perché lo fa senza ricorrere ad immagini o favolette; in terzo luogo, infine, perché in essa
     è contenuto, sebbene soltanto allo stadio embrionale, il pensiero che «tutto è uno». La ragione

     nominata  per  prima  lascia  Talete  ancora  in  compagnia  di  uomini  religiosi  e  superstiziosi;  la
     seconda lo trae fuori da questa compagnia e ce lo mostra come indagatore della natura, ma è
     soltanto per la terza ragione che questi può essere considerato il primo filosofo greco. Se egli
     avesse detto: «dall’acqua deriva la terra», noi avremmo avuto soltanto un’ipotesi scientifica,

     falsa ma difficilmente confutabile. Egli si spinse tuttavia oltre l’aspetto scientifico. Esponendo
     questa  rappresentazione  unitaria  delle  cose  per  mezzo  dell’ipotesi  dell’acqua,  Talete  non  ha
     semplicemente  superato,  ma  addirittura  saltato  d’un  balzo  il  basso  livello  delle  conoscenze
     scientifiche del suo tempo. Le misere e disordinate osservazioni di carattere empirico fatte da

     Talete sugli stati e le trasformazioni dell’acqua o, più precisamente, dell’elemento umido, non
     avrebbero minimamente consentito, né tantomeno suggerito, una tale immane generalizzazione.
     Ciò che spingeva verso di essa era piuttosto un principio metafisico di fede la cui origine è da
     ricercarsi  in  un’intuizione  mistica.  Incontriamo  tale  principio  in  tutte  le  filosofie,  insieme  a

     sempre nuovi tentativi di esprimerlo meglio; esso dichiara: «tutto è uno».
       È  curioso  con  quanta  violenza  si  comporti  una  siffatta  fede  nei  confronti  di  ogni  evidenza
     empirica: proprio da Talete si può imparare come, in ogni tempo, si sia comportata la filosofia
     ogniqualvolta  abbia  voluto  superare  le  barriere  dell’esperienza  per  raggiungere  le  sue  mete

     magicamente attraenti. Essa balza in avanti, sostenendosi su deboli supporti: la speranza e il
     presentimento le mettono le ali ai piedi. L’intelletto calcolante arranca dietro di lei, sbuffando
     pesantemente e cercando sostegni migliori per raggiungere anch’egli la meta allettante al quale
     la sua più divina compagna è già pervenuta. Sembra di vedere due viandanti che, in una foresta,

     giungano sulle sponde di un torrente selvaggio, il quale trascina dei massi con la corrente: il
     primo viandante oltrepassa il torrente saltando con piede leggero, servendosi dei massi come
     sostegno  per  slanciarsi  in  avanti,  sebbene  questi  sprofondino  nell’acqua  subito  dopo  il  suo
     passaggio.  L’altro  si  ferma  invece  ogni  momento,  impotente,  dovendo  prima  costruirsi  delle

     fondamenta che sopportino il peso del suo passo lento e pesante; talvolta ciò non gli riesce e, in
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