Page 34 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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Cicerone. Per noi è probabilmente andata perduta la parte più grandiosa del pensiero greco e
     della sua espressione verbale: un destino del quale non si stupirà chi ricordi la malasorte di
     Scoto  Erigena  o  di  Pascal  e  consideri  che,  persino  in  questo  secolo  illuminato,  la  prima

     edizione del Mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer dovette essere mandata
     al  macero.  Se  qualcuno  vuole  ipotizzare  una  vera  e  propria  potenza  fatalistica  per  spiegare
     questi fatti, certamente può farlo e dire con Goethe: «Nessuno si lagni di ciò che è abietto: esso
     difatti detiene il potere, checché ti si possa dire». Essa è, nello specifico, più forte della potenza

     della  verità.  L’umanità  produce  assai  raramente  un  buon  libro,  nel  quale  venga  intonato  con
     audace libertà il canto di battaglia della verità, il canto dell’eroismo filosofico: eppure dipende
     dalle  più  miserabili  contingenze,  da  improvvisi  ottenebramenti  mentali,  da  sussulti  di
     superstizione e antipatie, infine persino dalla pigrizia delle dita nello scrivere o addirittura dai

     tarli o dall’umidità, il fatto che esso viva ancora un secolo, oppure ammuffisca e marcisca. Ma
     non vogliamo lamentarci; piuttosto, rivolgeremo a noi stessi le recise parole di consolazione
     indirizzate da Hamann ai dotti che si lamentano di opere perdute: «All’artigiano che infila la
     cruna  di  un  ago  aiutandosi  con  una  lente,  non  è  sufficiente  uno  staio  di  lenti  per  esercitare

     l’abilità acquisita? Bisognerebbe fare questa domanda a tutti i dotti che non sanno usare le opere
     degli antichi più saggiamente di quanto non sapesse fare quel tale con le lenti». Nel nostro caso
     dovremmo aggiungere che non avevamo bisogno di altre parole, aneddoti, date, oltre a quelle
     che ci furono tramandate e anzi che, persino ricevendo molto meno, saremmo stati comunque in

     grado di stabilire la tesi generale secondo la quale i Greci legittimarono la filosofia. Un’epoca
     che soffre della cosiddetta cultura generale, ma non possiede in realtà alcuna cultura né unità di
     stile nella propria vita, non saprà dare inizio a nulla di buono con la filosofia, quand’anche essa
     venisse  proclamata  nelle  strade  e  nei  mercati  dal  genio  della  verità  in  persona.  In  un’epoca

     siffatta essa rimane piuttosto il monologo erudito di un passeggiatore solitario, il bottino casuale
     di un singolo, un nascosto segreto da salotto o la chiacchiera innocua tra vecchi accademici e
     fanciulli. Nessuno può osare di portare in sé a compimento quanto la filosofia comanda, nessuno
     vive  filosoficamente,  con  quella  semplice,  virile  fedeltà  che  costringeva  un  antico,  nel  caso

     avesse giurato fedeltà alla Stoa, a comportarsi da Stoico ovunque si trovasse e qualunque cosa
     facesse. Tutto il filosofare moderno è politico e poliziesco, limitato a un’erudita apparenza dai
     governi, dalle chiese, dalle accademie, dai costumi, dalle mode, dalla codardia degli uomini.
     Esso si limita a sospirare: “se però…” o a constatare: “così era un tempo…”. La filosofia non

     ha  diritto  di  esistere  e  perciò  l’uomo  moderno,  se  soltanto  fosse  davvero  coraggioso  e
     coscienzioso,  dovrebbe  rifiutarla  e  metterla  al  bando  all’incirca  con  le  stesse  parole  con  le
     quali  Platone  scacciò  dal  suo  Stato  i  poeti  tragici.  Naturalmente  rimarrebbe  ad  essa
     un’obiezione, così come rimase ai poeti tragici di fronte a Platone. Se fosse costretta a parlare,

     la filosofia potrebbe dire all’incirca: «Popolo miserabile! È forse colpa mia se mi aggiro tra di
     voi nel paese come un’indovina, costretta a nascondermi e a camuffarmi, come se io fossi la
     peccatrice e voi i miei giudici? Ma guardate mia sorella, l’arte! È nelle mie stesse condizioni:
     tra i barbari ci siamo perdute e non sappiamo più come metterci in salvo. Manchiamo, questo è

     vero, di ogni buon diritto: ma i giudici dai quali veniamo giudicate, giudicheranno anche voi e
     diranno  allora:  prima  abbiate  una  cultura,  poi  imparerete  anche  cosa  vuole  e  può  fare  la
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