Page 30 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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sgorgando dall’infuocata serenità della valorosa e vittoriosa età virile. Il fatto che i Greci
abbiano filosofato in quest’epoca ci istruisce su che cosa sia la filosofia e su che cosa debba
essere, come pure sui Greci stessi. Se a quel tempo i Greci fossero stati i sobri e saccenti
uomini pratici, i cuor contenti che s’immagina il dotto filisteo dei nostri giorni, o se soltanto
avessero vissuto in un gozzovigliante oscillare di suoni, aneliti e sentimenti, così come ama
supporre chi fantastica nell’ignoranza, in tal caso la sorgente della filosofia non sarebbe affatto
venuta alla luce presso di loro. Sarebbe tutt’al più comparso un ruscello, presto riassorbito
dalla sabbia o evaporato in nebbia; giammai però quell’ampio fiume, scrosciante con fiero
sciabordio di onde, che noi conosciamo sotto il nome di filosofia greca.
Senza dubbio ci si è zelantemente applicati per mostrare quante cose i Greci potessero trovare
e apprendere nei paesi stranieri dell’Oriente e come essi, effettivamente, vi presero svariate
cose. Naturalmente si ebbe uno spettacolo bizzarro quando si fecero incontrare i presunti
maestri orientali con i possibili discepoli greci e si mise allora in mostra Zoroastro accanto a
Eraclito, gli Indiani accanto agli Eleati, gli Egizi accanto a Empedocle o, addirittura,
Anassagora tra i Giudei e Pitagora tra i Cinesi. Nel dettaglio sono stati ottenuti scarsi risultati
ma, nel complesso, il pensiero è accettabile, fintantoché da esso non si voglia però trarre la
gravosa conclusione che la filosofia in Grecia sarebbe stata semplicemente importata e non
cresciuta come su di un terreno patrio e naturale e anzi che essa, essendo cosa straniera, avrebbe
non tanto stimolato, quanto piuttosto rovinato i Greci. Nulla è più insensato che attribuire ai
Greci una cultura autoctona: essi piuttosto assorbirono dagli altri popoli ogni cultura che possa
dirsi vivente. Essi giunsero tanto lontano proprio perché seppero rilanciare il giavellotto dal
punto in cui un altro popolo l’aveva lasciato cadere. I Greci sono degni di ammirazione per
l’arte di apprendere fruttuosamente: anche noi dovremmo imparare dai nostri vicini così come
fecero loro, mirando alla vita e non a una conoscenza erudita, usando tutto ciò che si è imparato
come sostegno per elevarsi in alto, e più in alto dei vicini. Le domande sui primordi della
filosofia sono del tutto indifferenti, perché ovunque in principio è il rozzo, l’informe, il vuoto e
il brutto e, in tutte le cose, devono esser presi in considerazione soltanto gli stadi superiori. Chi
preferisce occuparsi, invece che della filosofia greca, di quella egizia o persiana, in ragione del
fatto che queste sarebbero forse «più originali» e comunque più antiche, si comporta con la
stessa sconsideratezza di coloro i quali non riescono a darsi pace, riguardo alla tanto magnifica
e profonda mitologia greca, fin quando non l’hanno ricondotta a banalità fisiche, al sole, al
fulmine, al temporale e alla nebbia, considerate l’inizio primordiale della mitologia; oppure di
coloro i quali, ad esempio, credono di aver ritrovato nella circoscritta adorazione dei bravi
Indogermani per la volta celeste nel suo complesso una forma di religione più pura rispetto
all’adorazione politeista dei Greci. La via verso le origini conduce sempre alla barbarie; e chi
si occupa dei Greci dovrebbe sempre tenere presente che, in ogni tempo, l’incontrollato impulso
verso il sapere è stato in sé tanto barbarizzante quanto l’odio verso il sapere, e che i Greci
hanno controllato il loro impulso verso il sapere, di per sé insaziabile, con il riguardo per la
vita, con un ideale bisogno di vita, poiché ciò che imparavano, volevano subito anche viverlo.
D’altronde i Greci hanno filosofato come uomini di cultura e con i fini della cultura,
risparmiandosi perciò di scoprire di nuovo, per una qualche presunzione autoctona, gli elementi