Page 97 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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quale nessun filosofo ha ancora parlato con venerazione e riconoscenza, è per ora addirittura

      il più delicato strumento che abbiamo a disposizione: è in grado di constatare differenze anche
      minime di movimento, che neppure lo spettroscopio rileva. Noi oggi possediamo esattamente
      tanta scienza, per quanto abbiamo deciso di accettare la testimonianza dei sensi - e per quanto
      abbiamo appreso ad acuirli, ad armarli, a completarli col pensiero. Il resto è aborto e non
      ancora scienza: voglio dire metafisica, teologia, psicologia, teoria della conoscenza. Oppure
      scienza  formale,  teoria  dei  segni:  come  la  logica,  e  quella  logica  applicata  che  è  la
      matematica.  In  esse  la  realtà  non  compare  affatto,  neppure  come  problema;  e  tantomeno  vi

      appare la questione di quale valore abbia in generale una convenzione di segni, quale la logica
      è. -

      4.
         Non meno pericolosa è l'altra idiosincrasia dei filosofi: che consiste nello scambiare ciò
      che è ultimo e ciò che è primo. Ciò che viene alla fine - purtroppo! ché non dovrebbe venire

      affatto! - i «supremi concetti», ossia i concetti più generali, più vacui, l'ultimo fumo di una
      realtà  che  svapora,  essi  lo  pongono  all'inizio,  come  inizio.  Questo  è  a  sua  volta  soltanto
      l'espressione del loro modo di venerare: il superiore non può crescere dall'inferiore, non può
      assolutamente essere cresciuto... Morale: tutto ciò che è di primo grado dev'essere causa sui.
      La provenienza da qualcos'altro vale come un'obiezione, una messa in dubbio del valore. Tutti
      i valori superiori sono di primo grado; tutti i concetti supremi, l'essente, l'assoluto, il bene, il
      vero, il perfetto - tutto ciò non può essere divenuto, di conseguenza deve essere causa sui. Ma

      tutti  questi  non  possono  nemmeno  essere  disuguali  fra  loro,  non  possono  essere  in
      contraddizione con sé... Così essi hanno il loro stupendo concetto di «Dio»... Ciò che è ultimo,
      più  inconsistente,  più  vacuo,  viene  posto  come  primo,  come  causa  in  sé,  come  ens
      realissimum...  E  l'umanità  ha  dovuto  prendere  sul  serio  le  sofferenze  cerebrali  di  questi
      fantasticoni malati! - E l'ha pagata cara!...


      5.
         Contrapponiamo infine il modo diverso in cui noi (- dico noi per cortesia...) guardiamo ai
      problemi  dell'errore  e  dell'apparenza.  Una  volta  si  considerava  la  trasformazione,  il
      mutamento, il divenire in genere come prova dell'apparenza, come segno che doveva esserci
      qualcosa  ad  indurci  in  errore.  Oggi  invece,  nell'esatta  misura  in  cui  il  pregiudizio  della
      ragione ci costringe a stabilire unità, identità, durata, sostanza, causa, materialità, essere, ci
      vediamo in certo qual modo irretiti nell'errore, necessitati all'errore; per quanto siamo sicuri,

      in base a una rigorosa verifica con noi stessi, che qui stia l'errore. Accade esattamente come
      per i movimenti di un grande astro: lì l'errore ha per costante avvocato il nostro occhio, e qui
      il nostro linguaggio. Il linguaggio appartiene, secondo la sua origine nel tempo, alla forma più
      rudimentale  di  psicologia:  se  prendiamo  coscienza  dei  presupposti  fondamentali  della
      metafisica  del  linguaggio  -  in  parole  più  chiare,  della  ragione  -  penetriamo  in  un  rozzo

      feticismo. Esso vede ovunque autore e atto: crede nella volontà come causa in generale; crede
      nell'io», nell'io come essere, nell'io come sostanza, e proietta la fede nell'io-sostanza su ogni
      cosa  -  solo  così  crea  il  concetto  di  «cosa»...  L'essere  viene  penetrato  col  pensiero,
      interpolato  ovunque  come  causa;  solo  dalla  concezione  dell'«io»  segue,  come  derivato,  il
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