Page 102 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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cuore», dice no ai più bassi e ai più alti desideri della vita, e intende Dio come nemico della

      vita... Il santo in cui Dio si compiace è il castrato ideale... La vita finisce là dove inizia  il
      «regno di Dio»...

      5.
         Posto che si sia capita l'empietà di una simile ribellione contro la vita, quale è diventata
      quasi  sacrosanta  nella  morale  cristiana,  così  si  è  capito,  per  fortuna,  anche  qualcos'altro:
      l'inutilità,  il  carattere  fittizio,  l'assurdità,  la  mendacia  di  una  tale  ribellione.  Una  condanna

      della vita da parte del vivente resta alla fine solo il sintomo di una determinata specie di vita:
      la questione se ciò avvenga a ragione o a torto non viene affatto sollevata. Si dovrebbe avere
      una posizione al di fuori della vita, e d'altra parte conoscerla così bene come quell'uno, come
      quei molti, come quei tutti che l'hanno vissuta, per potere in generale toccare il problema del
      valore della vita: motivi sufficienti a comprendere che tale problema è per noi inaccessibile.
      Quando parliamo di valori, parliamo sotto l'ispirazione, sotto l'ottica della vita: la vita stessa

      ci costringe a porre valori, la vita stessa valuta per tramite nostro, quando poniamo valori...
      Ne consegue che anche quell'esser-contronatura della morale, che intende Dio come concetto
      antitetico e condanna della vita, è soltanto un giudizio di valore pronunciato dalla vita - da
      quale  vita?  da  quale  tipo  di  vita?  -  Ma  ho  già  risposto:  dalla  vita  in  declino,  indebolita,
      stanca, condannata. La morale, così com'è stata intesa sinora - e come infine venne formulata
      anche da Schopenhauer, quale «negazione della volontà di vivere» - è l'istinto  stesso  della
      décadence,  che  fa  di  sé  un  imperativo:  essa  dice  «perisci!»  -  essa  è  il  giudizio  dei

      condannati...

      6.
         Consideriamo infine anche quale ingenuità sia dire: «l'uomo dovrebbe essere così e così!».
      La  realtà  ci  mostra  una  incantevole  ricchezza  di  tipi,  il  rigoglio  di  un  dissipante  gioco  e

      mutamento  di  forme:  e  un  qualche  miserabile  fannullone  di  moralista  dice:  «no!  l'uomo
      dovrebbe  essere  diverso»\  Sa  persino  come  dovrebbe  essere,  questo  bigotto  e  piagnone;
      dipinge se stesso sulla parete e dice «ecce homo!»... Ma persino quando il moralista si rivolge
      soltanto al singolo e gli dice «tu dovresti essere così e così!», non cessa di rendersi ridicolo.
      L'individuo è un frammento di fato da cima a fondo, una legge in più, una necessità in più per
      tutto  ciò  che  viene  e  che  sarà.  Dirgli  «cambiati»  significa  pretendere  che  tutto  si  cambi,
      persino all'indietro... E in realtà ci furono moralisti conseguenti che volevano l'uomo diverso,
      ossia  virtuoso,  lo  volevano  a  propria  immagine,  ossia  bigotto:  a  tale  scopo  negarono  il

      mondo! Una follia non da poco! Una specie di immodestia niente affatto modesta!... La morale,
      nella misura in cui essa condanna, in sé, non sotto i riguardi, le considerazioni, le intenzioni
      della vita, è un errore specifico di cui non si deve aver pietà, una idiosincrasia di degenerati,
      che ha provocato danni indicibili!... Noi altri, noi immoralisti, abbiamo invece spalancato il
      nostro cuore a ogni sorta di comprensione, di intendimento, di approvazione. Non neghiamo

      facilmente, e cerchiamo il nostro onore nell'essere affermativi. Sempre più il nostro occhio si
      è aperto a quell'economia che ha ancora bisogno e sa far uso di tutto quello che la santa follia
      del prete, della ragione malata nel prete, respinge, a quella economia nella legge della vita
      che trae il suo vantaggio persino dalla ripugnante specie del bigotto, del prete, del virtuoso -
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