Page 105 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
P. 105
esaurimento ereditario. Il lettore di giornali dice: Con questo errore il tal partito si rovinerà.
La mia politica superiore dice: un partito che commette simili errori è finito - non possiede
più la sua sicurezza istintiva. Qualsiasi errore in ogni senso è la conseguenza di una
degenerazione dell'istinto, della disgregazione della volontà: con ciò si definisce pressappoco
il cattivo. Ogni cosa buona è istinto - e di conseguenza facile, necessaria, libera. La fatica è
un'obiezione, il dio si differenzia tipicamente dall'eroe (nel mio linguaggio: i piedi lievi,
primo attributo della divinità).
3.
Errore di una falsa causalità. - In ogni tempo si è creduto di sapere che cosa sia una causa:
ma da dove abbiamo preso la nostra consapevolezza, più esattamente, la nostra fede di
saperne qualcosa? Dalla sfera dei famosi «fatti interiori», dei quali sinora nessuno si è
dimostrato fattualmente. Credevamo di essere noi stessi la causa nell'atto del volere; almeno lì
credevamo di cogliere sul fatto la causalità. Ugualmente non si dubitava che tutti gli
antecedentia di un'azione, le sue cause, fossero da ricercare nella coscienza e che, a cercarli,
si sarebbero ritrovati lì - come «motivi»; altrimenti non si sarebbe stati liberi per quell'azione,
non si sarebbe stati responsabili di essa. Infine, chi avrebbe contestato il fatto che un pensiero
viene causato? che l'io causa il pensiero?... Di questi tre «fatti interiori», nei quali la causalità
sembrava trovar garanzia, il primo e più convincente è quello della volontà come causa; la
concezione di una coscienza («spirito») come causa, e più tardi anche quella dell'io (del
«soggetto») come causa sono semplicemente nate dopo, una volta che la causalità della
volontà risultava stabilmente come data, come empiria... Nel frattempo abbiamo riflettuto
meglio. Oggi non crediamo più una parola di tutto questo. Il «mondo interiore» è pieno di
chimere e fuochi fatui: la volontà è uno di questi. La volontà non muove più nulla, e di
conseguenza non spiega nemmeno più nulla - accompagna semplicemente gli avvenimenti, ma
può anche mancare. Il cosiddetto «motivo»: un altro errore. Solo un superficiale fenomeno
della coscienza, un elemento incidentale dell'azione che, più che rappresentarli, nasconde gli
antecedentia di un'azione. E poi l'io! È diventato una favola, una finzione, un gioco di parole:
ha cessato del tutto di pensare, di sentire e di volere!... Che cosa ne consegue? Non esistono
cause spirituali! Tutta la presunta empiria in compenso è andata al diavolo! Questo ne
consegue! - E noi avevamo bellamente abusato di quella «empiria», su di essa avevamo creato
il mondo come un mondo di cause, un mondo della volontà, un mondo di spiriti. Agiva qui la
più antica e durevole psicologia, e non ha fatto altro: ogni accadere era per essa un fare, ogni
fare effetto di un volere, il mondo divenne per essa una molteplicità di soggetti agenti, in ogni
accadere si suppose un soggetto agente (un «soggetto»). L'uomo ha proiettato fuori di sé i suoi
tre «fatti interiori», ciò in cui più fermamente credeva, la volontà, lo spirito, l'io - ha ricavato
prima il concetto di essere dal concetto dell'io, ha posto le «cose» come essenti secondo la
sua immagine, il suo concetto dell'io come causa. Perché stupirsi se più tardi, nelle cose, egli
ritrovava sempre e solo ciò che vi aveva messo? - La cosa stessa, ripetiamo, il concetto di
cosa è puramente un riflesso della fede nell'io come causa... E anche il vostro atomo, signori
meccanicisti e fisici: quanto errore, quanta rudimentale psicologia restano ancora nel vostro
atomo! - Per non parlare affatto della «cosa in sé», dell'horrendum pudendum dei metafisici!
L'errore dello spirito come causa scambiato con la realtà! E assunto a misura della realtà! E