Page 46 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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propriamente evangelica. Non una «fede» contraddistingue il cristiano: il cristiano agisce, egli
si distingue attraverso un diverso agire: nel non opporre resistenza a colui che gli fa del male,
né con la parola, né in cuor suo: nel non far differenza tra forestieri e indigeni, tra Giudei e
non Giudei («il prossimo» è propriamente il compagno di fede, l'Ebreo). Nel non adirarsi con
nessuno, nel non umiliare nessuno: nel non farsi né vedere, né implicare in tribunali («non
giurare»): nel non dividersi dalla propria donna in nessun caso, neppure in quello di
comprovata infedeltà. - In sostanza un unico principio, tutte conseguenze di un solo istinto.
La vita del Redentore non fu altro che questa pratica, - anche la sua morte non fu nulla di
diverso... Egli non aveva più bisogno di formule, di un rito per la comunicazione con Dio -
nemmeno della preghiera. Ha chiuso la partita con tutta la dottrina ebraica della penitenza e
della riconciliazione; sa che solo con la pratica di vita l'uomo si sente «divino», «beato»,
«evangelico», in ogni momento «figlio di Dio». Non l'«ammenda», non «la implorazione del
perdono» sono strade verso Dio: la pratica evangelica sola conduce a Dio, essa è appunto
«Dio»! - Ciò che si toglieva di mezzo col Vangelo era l'ebraismo dei concetti di «peccato»,
«remissione del peccato», «fede», «redenzione mediante la fede» - l'intera dottrina
ecclesiastica ebraica era negata dalla «buona novella».
L'istinto profondo di come uno debba vivere per sentirsi «in cielo», per sentirsi «eterno»,
mentre comportandosi in qualsiasi altro modo uno non si sente affatto «in cielo»: questa sola è
la realtà psicologica della «redenzione». - Una nuova regola di vita, non una nuova fede...
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Se c'è una cosa che io intendo di questo grande simbolista è che egli prese come realtà,
come «verità», solo realtà interiori, - che intese tutto il resto, tutto quanto è naturale,
temporale, spaziale, storico solo come segno, come occasione per parabole. La nozione di
«figlio dell'uomo» non è una persona concreta, che faccia parte della storia, qualcosa di
singolare, irripetibile, bensì una realtà «eterna», un simbolo psicologico affrancato dalla
nozione di tempo. Altrettanto dicasi ancora una volta, e nel senso più alto, del Dio di questo
simbolista tipico, del «regno di Dio», del «regno dei cieli», dello stato di «figli di Dio».
Niente è più anticristiano delle ottusità ecclesiastiche di un Dio come persona, di un «regno
di Dio» a venire, di un «regno dei cieli» nell'al di là, di un «figlio di Dio» seconda persona
della Trinità. Tutto ciò è - mi si perdoni l'espressione - il classico pugno nell'occhio - e in che
occhio! - quello del Vangelo; un cinismo storico mondiale nello scherno del simbolo... Eppure
è evidente dove si va a parare con le figure del «padre» e del «figlio» - non per tutti evidente,
lo ammetto: con la parola «figlio» si esprime l'immissione di tutte le cose in un senso
onnicomprensivo di trasfigurazione (la beatitudine), con la parola «padre» questo sentimento
stesso, il senso dell'eternità, della compiutezza. - Mi vergogno a rammentare quel che la
Chiesa ha fatto di questo simbolismo: non ha forse piantato una storia d'Anfitrione sulla soglia
della «fede» cristiana? E un dogma della «immacolata concezione» o coronamento?... Ma in
tal modo è essa ad aver macchiata la concezione... Il «regno dei cieli» è uno stato dell'anima
- non qualcosa che viene «oltre la terra» o «dopo la morte». Il concetto della morte naturale
manca del tutto nel Vangelo: la morte non è un ponte, un trapasso, essa manca in quanto
appartiene ad un mondo del tutto diverso, di pura parvenza, utile solo per figure simboliche.
L'«ora della morte» non è un concetto cristiano - l'«ora», il tempo, la vita corporea e le sue