Page 33 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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peggio riuscito, il più infermiccio, quello più pericolosamente sviato dai propri istinti -
cionondimeno, certo, anche il più interessante! A proposito degli animali, Descartes per
primo, con encomiabile audacia, ha osato pensare l'animale come machina: tutta la nostra
filosofia si affanna intorno alla dimostrazione di questa tesi. Logicamente noi non mettiamo da
parte l'uomo, come ancora fece Descartes: proprio ciò che oggi è capito dell'uomo, non
oltrepassa il punto in cui egli è visto come macchina. In passato si conferiva all'uomo il
«libero arbitrio» come sua dote derivante da un ordine superiore: noi oggi gli abbiamo preso
perfino la volontà, nel senso che con questo nome non è più lecito intendere una facoltà. Il
vecchio termine «volontà» serve solo a designare una risultante, una specie di reazione
individuale la quale segue necessariamente a una quantità di stimoli in parte contraddicentisi,
in parte concordanti: - la volontà non «agisce» più, non «muove» più... Una volta si vedeva
nell'esser cosciente dell'uomo, nello «spirito» la prova della sua superiore origine, della sua
divinità; per perfezionare l'uomo gli si consigliava di ritrarre in sé i sensi alla maniera della
tartaruga, di sospendere ogni relazione con ciò che è terreno, di deporre la spoglia mortale: in
questo caso sarebbe rimasto di lui l'importante, il «puro spirito». Anche a questo proposito
abbiamo cambiato idea: il divenire coscienti, lo «spirito», rappresenta per noi addirittura il
sintomo di una relativa incompiutezza dell'organismo, come un tentare, un brancolare, uno
stringere il vuoto, come un affaticamento nel quale viene senza bisogno consumata molta
energia nervosa, - noi neghiamo che alcunché possa essere reso perfetto fintanto che viene
fatto ancora coscientemente. Il «puro spirito» è una pura scempiaggine: sottraendo sistema
nervoso e sensi, la «spoglia mortale», facciamo male i conti - nient'altro!...
15.
Né morale, né religione nel cristianesimo toccano un punto qualsiasi della realtà. Cause
puramente immaginarie («Dio», «anima», «io», «spirito», «libero volere» - anche «non
libero»); effetti puramente immaginari («peccato», «redenzione», «grazia», «punizione»,
«remissione dei peccati»). Un commercio tra esseri immaginari («Dio», «spiriti», «anime»);
un'immaginaria scienza della natura (antropocentrica; completa mancanza del concetto di
cause naturali); un'immaginaria psicologia (puri e semplici autofraintendimenti, interpretazioni
di piacevoli e spiacevoli sentimenti comuni, ad esempio degli stati del nervus sympathicus,
con l'aiuto del linguaggio mimico dell'idiosincrasia moral-religiosa, - «pentimento»,
«rimorso», «tentazione diabolica», «la vicinanza di Dio»); un'immaginaria teleologia («il
regno di Dio», «il giudizio universale», «la vita eterna»). Questo mondo di pura finzione si
differenzia, e molto in peggio, dal mondo dei sogni, per il fatto che quest'ultimo rispecchia la
realtà, mentre quello falsifica, svaluta, nega la realtà. Soltanto dopoché il concetto di «natura»
fu escogitato come concetto antitetico a «Dio», la parola «naturale» dovette necessariamente
equivalere a «riprovevole», - tutto quel mondo fittizio affonda le radici nell'odio per ciò che è
naturale (- la realtà! -), esso è l'espressione di un profondo malessere di fronte al reale... Ma
in tal modo tutto risulta spiegato. Chi è l'unico ad avere dei motivi per trarsi fuori con le
menzogne dalla realtà? Colui che di essa soffre. Ma soffrire della realtà vuol dire essere una
realtà fallita... La preponderanza dei sentimenti di piacere su quelli sgradevoli è la causa di
quella immaginaria morale e religione: ma una tale preponderanza dà la formula della
décadence...