Page 202 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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Così parlò Zarathustra
Un libro per tutti e per nessuno
1.
Racconterò ora la storia di Zarathustra. La concezione fondamentale dell'opera, il pensiero
dell'eterno ritorno, la più sublime formula di affermazione che in generale possa essere
raggiunta -, risale all'agosto dell'anno 1881: è stata abbozzata su un foglio che porta la scritta
«6000 piedi al di là dell'uomo e del tempo». Quel giorno andavo attraverso i boschi,
costeggiando il lago di Silvaplana; mi fermai presso un poderoso e torreggiante blocco
piramidale non lontano da Sulei. Quel pensiero mi venne allora. - Se da quel giorno risalgo a
ritroso di un paio di mesi, trovo come segno premonitore un mutamento improvviso e
profondamente decisivo del mio gusto soprattutto riguardo alla musica. Forse si può porre
l'intero Zarathustra sotto il segno della musica; - di certo fu una rinascita nell'arte di
ascoltare, un presupposto a questa rinascita. In una piccola stazione termale montana, non
lontana da Vicenza, Recoaro, dove passai la primavera del 1881, scoprii, assieme al mio
maestro e amico Peter Gast, lui pure un «rigenerato», che la fenice della musica volava nel
nostro cielo con le ali più lievi e più luminose che mai avesse mostrato. Se invece da quel
giorno vado al periodo successivo, fino al parto improvviso e avvenuto nelle circostanze più
inverosimili nel febbraio 1883 - la parte conclusiva, la stessa dalla quale nel prologo ho
citato un paio di frasi, fu portata a termine proprio nell'ora sacra nella quale Richard Wagner
moriva a Venezia - sono diciotto mesi di gestazione. Proprio questo numero di diciotto mesi
potrebbe suggerire il pensiero, per lo meno tra i buddhisti, che in fondo io sia una femmina
d'elefante. In questo intervallo si situa La gaya scienza, che da cento segnali annunzia
l'approssimarsi di qualcosa d'incomparabile; alla fine essa offre anche l'inizio dello
Zarathustra; nel penultimo frammento del quarto libro essa presenta il pensiero fondamentale
dello Zarathustra.
Allo stesso modo si colloca in questo intervallo quell'Inno alla vita (per coro misto e
orchestra) la cui partitura è apparsa anni fa per i tipi di E.W. Fritzsch a Lipsia: un sintomo
forse non insignificante per la situazione di quell'anno, nel quale il pathos affermativo par
excellence, chiamato da me il pathos tragico, mi pervadeva al massimo grado: verrà cantato
in futuro in mio ricordo. Il testo, a ben vedere, poiché a questo proposito si è diffuso un
malinteso, non è mio: è dovuto alla stupefacente ispirazione di una giovane russa, con la quale
allora ero legato d'amicizia, la signorina Lou von Salomè. Chi sappia trarre un significato in
generale dalle ultime parole della poesia, comprenderà perché le abbia preferite e ammirate:
sono grandi. Il dolore non vale qui come argomentazione contro la vita: «se non hai più gioia
da darmi, ebbene; hai ancora la tua pena...». Forse in questo punto anche la mia musica trova
la sua grandezza (ultima nota dell'oboe: do diesis e non do - errore di stampa). L'inverno
successivo vissi, non lontano da Genova, nella piacevole e tranquilla baia di Rapallo che