Page 151 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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      deve dirlo dieci volte, sono l'essenziale, anche la cosa più difficile» . Affermare dunque la
      volontà di potenza non significa affatto affermare una sorta di lotta per la potenza tra gli
      uomini,  quanto  al  contrario  un'umanità  che  è  in  grado  di  conoscere  e  di  interpretare  i
      propri istinti e di dominarli a tal punto da potersi permettere una affermazione della vita in
      tutti  i  suoi  aspetti  e  lati  problematici.  L'egoismo  di  cui  parla  Nietzsche  non  è  l'egoismo
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      «povero,  affamato,  che  vuol  sempre  rubare» ,  quanto  quello  di  un  individuo  che  è
      perfettamente padrone di sé, da non volere ad esempio «fuggire» nella compassione verso
      gli altri: il tipo di uomo concepito da Zarathustra «concepisce la realtà come essa è: egli è
      abbastanza forte per farlo -, non è estraniato, rapito in estasi, è questa realtà stessa, ne ha
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      ancora in sé tutto il terribile e l'ambiguo, e solo con ciò l'uomo può essere grande...» . Al
      contrario, «la condizione d'esistenza dei buoni è la menzogna: detto con altre parole, il non
      voler vedere a nessun costo com'è, in fondo, la realtà, e cioè non atta a far nascere ad ogni
      istante sentimenti di benevolenza, e, meno ancora, atta a tollerare ad ogni istante su di sé
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      l'intervento di mani miopi e benevole» .
         Questa specie superiore di umanità, che è in grado di trasformare i valori, è anche il
      frutto  di  un  processo  che  avviene  storicamente:  criticare  la  morale,  o  la  religione,  non
      significa certo non comprendere quale ruolo in passato esse abbiano potuto svolgere nel
      «superamento»  dell'uomo.  E  l'immoralismo  di  Zarathustra  -  questo  è  uno  dei  punti
      essenziali di Ecce homo, uno dei risultati a cui Nietzsche è giunto con particolare lavoro -

      presuppone  infatti  tutta  la  storia  della  morale  e  l'ansia  di  veracità  in  essa  contenuta:
      Zarathustra,  creatore  della  morale,  deve  essere  anche  il  primo  a  riconoscerne  la  fine,
      rappresenta  «l'autosuperamento,  per  veracità,  della  morale,  l'autosuperamento  del
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      moralista - me stesso nel suo contrario - in me» . L'immagine che Nietzsche presenta di se
      stesso  può  far  comprendere  cosa  significhi  questo  superamento:  «La  libertà  dal
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      ressentiment, la chiara visione del ressentiment»  è in fondo il tratto che più caratterizza
      questa immagine. La malattia, il rapporto con il padre, le esperienze più profonde della
      psicologia  nietzscheana  conducono  tutte  a  evidenziare  questo  superamento  della
      «ritorsione», dell'istinto di vendetta: ciò significa il raggiungimento di una vita che non sia

      semplice risposta ad uno stimolo, che non sia formata da un meccanismo di reazione, di
      «retribuzione»,  come  il  desiderio,  il  volere  o  l'aspirare  a  qualcosa.  Superare  questo
      meccanismo di reazione significa più in generale soprattutto superare la «colpa» e quindi
      la «punibilità»: «prendere su di sé la colpa, non la pena, questo solo sarebbe veramente
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      divino» . E dunque superare una visione della vita come «colpa» che deve essere espiata e
      raggiungere invece una affermazione della vita nella pienezza del suo divenire, e quindi

      anche delle sue pene, delle sue crisi, dei suoi dolori: la contrapposizione finale tra i due
      «tipi»  di  Dioniso  e  il  Crocefisso  non  è  altro  che  la  condensazione  simbolica  della
      contrapposizione tra queste due visioni della vita. La conseguenza psicologica principale
      di una vita che si sa inserita nell'eterno ritorno è proprio infondo in questo superamento
      dell'idea  della  fine,  e  del  dolore  e  dell'ansia  che  ad  essa  si  riconnettono:  è  questo

      l'insegnamento principale che Nietzsche trae da quell'essere tra la vita e la morte che è
      stata  la  malattia  o  l'esperienza  della  morte  paterna.  In  Ecce  homo  l'idea  della  morte  è
      molto più lontana, superata, di quanto non lo fosse in Zarathustra, e forse il tono ironico,
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