Page 147 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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aprioristicamente come testimonianza «patologica» in cui rintracciare i segni della
imminente follia. Il lavoro di composizione di Ecce homo testimonia con evidenza che «la
lucidità letteraria, quella che noi vorremmo chiamare la "coscienza di scrittore", in
Nietzsche rimane assolutamente limpida fino all'ultimo, fino alle soglie della "catastrofe ".
Questo, se mai, è un elemento che vorremmo fosse aggiunto alla "patografia" di
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Nietzsche» . Non si tratta certo di eliminare il crollo psichico dall'orizzonte della sua vita,
per quanto oggi, a distanza di tempo e privi perfino degli stessi documenti che potrebbero
ricostruire la «logica» della follia nietzscheana, una analisi fruttuosa del caso «clinico»
Nietzsche risulti quasi impossibile: soltanto che la «pazzia imminente» rischia di divenire
facilmente una chiave falsa di interpretazione cui ricorrere quando non si riesce a
comprendere il testo nietzscheano, ricollocandolo nell'ambito complessivo della sua opera
e della sua problematica. In questo ambito un significato, o almeno una delucidazione, può
essere trovato anche a ciò che a una prima lettura di Ecce homo può apparire soltanto una
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«eccessiva autoubriacatura» : la grande politica, il presentarsi come destino, il
mutamento di dati biografici, ecc. - tutto ciò a un'attenta lettura può essere compreso senza
il richiamo alla follia.
«Un lettore come lo merito, che mi legga come i buoni filologi di una volta leggevano il
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loro Orazio» : questa lettura che Nietzsche ha più volte richiesta è forse l'unica
possibilità di percepire il tono sottile, spesso ironico, pieno di nuances di Ecce homo, di
penetrare nel labirinto in esso costruito, di avvicinarsi a quel modello di «lettore perfetto»
delineato da Nietzsche, «un mostro di coraggio e curiosità, con in più qualcosa di
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malleabile, di astuto, di attento, un avventuriero e un esploratore nato» . Forse anche così
l'«enigma» Nietzsche resterà irrisolto - «Chi conosce me?... Chi conosce Wagner?»,
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chiedeva significativamente Nietzsche -, ma più luce apparirà su quel complesso «gioco
di segni» che Ecce homo è. Perché certo i «segni» di Ecce homo non sono un semplice
«racconto» della vita di Nietzsche: già la mancanza di un decorso cronologico nel
racconto, l'organizzazione attorno a determinati nuclei problematici, come accortezza,
saggezza, scrittura ecc., la scarsa presenza di «fatti» biografici, indicano come la
narrazione della propria vita venga da Nietzsche problematizzata, nasca da un'opera di
astrazione e di consapevole strutturazione del suo significato.
L'immagine dell' autunno, di un autunno troppo ricco di frutti e di verità, costellato di
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giorni di una «eguale indomabile perfezione» , che Nietzsche pone all'inizio della sua
autobiografia e alla cui ombra riguarda indietro tutta la sua vita, sembrerebbe infatti
radicalmente contrastare con il tono di molte lettere, solo di poco precedenti, che
illuminano molto più direttamente sullo stato d'animo in cui l'opera fu scritta. Da esse
emerge una crisi esistenziale e una situazione fìsica non diverse da quelle seguite alla
rottura con Wagner o all'affare Lou: ed è Nietzsche stesso a parlare di «una recrudescenza
delle mie sofferenze passate; che cela un profondo esaurimento nervoso, a causa del quale
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tutta la macchina non funziona. [...] La forza vitale non è più intatta...» . Chiusa tra
questa crisi profonda che si protrae fino all'estate 1888 e il crollo definitivo dei primi
giorni del 1889, la perfezione dell'autunno torinese scolpita in Ecce homo sembra
drasticamente ridimensionata, quasi l'ultimo sprazzo di vita prima della fine: e in effetti