Page 148 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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non si deve dimenticare il fondo di dolore, di sofferenza, l'estrema tensione intellettuale e
psichica da cui nasce l'affermazione nietzscheana della vita. Forse non c'è opera che più di
Ecce homo realizzi così pienamente quella superficialità per profondità che Nietzsche
vedeva nei Greci: «forse questo scritto non aveva altro scopo» che esprimere «in modo
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sereno e filantropico» il contrasto tra satiro e santo , che riuscire a formare la «parodia»
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dalla «tragedia» della propria vita . È solo considerando questo scarto tra arte e vita che
si può comprendere in che senso l'opera testimoni non solo una volontà di vita, ma sia, «in
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quanto creazione», «un'aggiunta reale, un di più di quella vita stessa» , un vero e proprio
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mettersi «in salvo» . È solo scrivendo la propria vita che Nietzsche può superarla, può
porsi al di là di essa, «giocare» con essa, sperimentarla.
Perché il gioco estetico con la propria vita presuppone la dissezione, l'autotortura
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sperimentale di cui Nietzsche parla a proposito dell' Amleto . È solo guardando alla vita
attraverso una camera oscura, analizzandola, facendone oggetto di ricerca, che essa può
divenire problema; è solo questa «chimica delle idee e dei sentimenti» che rende la vita un
labirinto, che ne allarga la sfera, ne infinitizza il finito, ne svela il gioco segreto degli
istinti, ridà valore al piccolo e al quotidiano. Ed è solo essa d'altronde a mettere in luce il
carattere «estetico» di ogni conoscenza, di ogni forma di valutazione: non esiste cioè una
verità oggettiva che possa essere ritrovata, esiste invece il costruirsi della verità come
processo infinito, come processo della nostra interpretazione, del nostro interrelarsi e
impadronirsi della realtà. Quindi la verità è sempre in qualche modo soltanto per noi, è
inevitabilmente anche menzogna: solo in questo senso ogni forma di conoscenza è estetica,
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e solo per questo carattere di segno implicito in ogni conoscenza l'arte può essere la
forma più alta di espressione, nella misura in cui riesce a concentrare il massimo di
potenza espressiva dei segni e a rapportarli direttamente a noi. Ed è questa operazione
«estetica» che Nietzsche compie in Ecce homo, che non va certo fraintesa per un «superiore
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esercizio di stile» : per comprenderne la portata deve essere infatti considerato tutto il
lavoro di critica gnoseologica che è dietro questo rapporto tra arte e scienza, tutta la svolta
che si è compiuta nella storia della conoscenza nel momento in cui il «mondo vero» è finito
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«per diventare favola» e che, nel momento stesso in cui distrugge lo spirito di «sistema»,
restituisce un peso particolare alla personalità del filosofo.
La mancanza del racconto, l'astrazione, la condensazione stilistica, «questo minimum
nell'estensione e nel numero dei segni, questo maximum, in tal modo realizzato, nell'energia
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dei segni» , rivelano allora un significato più profondo: in questa operazione «estetica» è
infatti insita tutta la capacità di potenziamento che l'interpretazione crea all'interno di
condizioni finite. Attraverso l'accettazione delle condizioni date, necessarie, attraverso il
riconoscimento degli elementi insuperabili che costituiscono la propria natura e che non
possono essere modificati, «migliorati», è possibile raggiungere quella nuova dimensione
di vita che l'amor fati rivela; attraverso l'interpretazione della propria vita è possibile
«distillarla» e scioglierla nell'eterno ritorno, riguardarla in quella prospettiva, affermarla.
Il pensiero dell'eterno ritorno non è tanto una visione ciclica del tempo, quanto soprattutto
l'affermazione radicale, antimetafìsica del divenire: quello che ritorna sono i quanta di