Page 149 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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energia presenti nel divenire, l'energia che non ha origine né fine, che non può essere
modificata, quello che diviene è però il modo di interpretare questi quanta, il processo
attraverso il quale si raggiunge un modo sempre più «economico» di utilizzazione di questa
energia. L'amor fati dunque non è una semplice accettazione passiva del destino: lo stesso
riconoscimento del dato, del finito, svela nuove dimensioni della vita, quella conoscenza
fisiologica e psicologica che Nietzsche ascrive a proprio vantò. Ma all'interno degli
elementi finiti e immodificabili, la vita può essere ricostruita, interpretata, può appunto
«divenire» ciò «che è»: tutto quanto Nietzsche dice sulla propria malattia come condizione
della «grande ragione» della sua vita potrebbe inquadrarsi in questa prospettiva. Il senso
di perfezione e di compimento che si ritrova in Ecce homo non riguarda allora le
contingenze empiriche della biografia di Nietzsche, ma la consapevolezza di aver
adempiuto al proprio «compito», di aver sciolto la propria vita in quell'intreccio di cause
che sempre ritorna, di averla collocata nel corso del divenire. In quell'intreccio di cause, la
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«messa agli atti» della propria vita conterà più della vita reale dell'uomo Nietzsche: la
mancanza di vita, la solitudine parleranno di un amore più alto, resteranno come
«l'immortale lamento di chi è condannato dalla sovrabbondanza di luce e di potenza, dalla
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propria natura solare, a non amare» . E per questo avrebbe poco senso cercare di
«smontare» Nietzsche ridiscendendo da Ecce homo alla sua vita reale. A una prima lettura,
l'operazione potrebbe sembrare molto facile: il prof. Nietzsche che parla di grande politica
e al massimo riesce ad abbattere qualche scenario bayreuthiano, lo psicologo che non
conosce il proprio inconscio, il conoscitore dell'Eterno Femminino che spaccia verità da
quattro soldi sulle donne, il dotto che vuol far finta di non leggere, il superuomo che non
riesce a staccarsi da madre e sorella, l'ateo che odora profondamente di casa del pastore, il
solitario che costruisce la sua immagine pubblica potenziando fino all'inverosimile episodi
quasi trascurabili - la lettera di Gast, la polemica con Malwida von Meysenbug, piccole
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testimonianze d'affetto di fruttivendole torinesi o contesse pietroburghesi... Tutto
insomma farebbe apparire Ecce homo come prodotto di un transfert, come compensazione
per una vita così ristretta e povera di realtà. Ma il fatto stesso che Nietzsche con la sua
autobiografia si sia esplicitamente proposto anche questo scopo di demitizzazione e
demistificazione, che polemizzi contro ogni atteggiamento, che rifiuti fedeli o seguaci
dovrebbe mettere in guardia da una lettura di questo genere.
Perché resterebbe sempre da comprendere quale tipo di esperimento Nietzsche abbia
condotto con la propria vita, quale significato abbia il compito che pensa di aver
realizzato. Con Ecce homo la trasvalutazione riguarda in primo luogo Nietzsche stesso,
quel processo di superamento e di affermazione di se stesso, che lo porta a presentarsi
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come «il primo uomo come si deve» . In italiano, la parola «trasvalutazione» ha un suono
particolarmente vago, inusitato, dove si perde molto il senso di trasformazione e inversione
dei valori che Nietzsche vi riconnette: trasvalutare non significa affatto proporre nuove
tavole di valori, ma una trasformazione dei valori che nasce proprio da quell'operazione di
analisi e di dissezione che rivela l'inconscio in essi rimosso, il lato problematico e
nascosto, «proibito», che deve essere affermato e che comprende la relatività, la menzogna,
il carattere interpretativo e quindi anche «creativo» insito in ogni valore. Al pari il