Page 130 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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forti, le culture nobili vedono nella compassione, nell'«amore del prossimo», nella mancanza
di sé e del sentimento di sé qualcosa di spregevole. - Le epoche vanno misurate in base alle
loro forze positive - e quell'epoca così prodiga e ricca di destino, che è il Rinascimento, si
configura allora come l'ultima grande epoca, e noi, noi moderni, con la nostra angosciosa cura
di noi e il nostro amore del prossimo, con le nostre virtù di laboriosità, di modestia, di
probità, di scientificità - accumulatori, economici, meccanici - come un'epoca debole... Le
nostre virtù sono condizionate, sono provocate dalla nostra debolezza... L'«uguaglianza», una
certa effettiva equiparazione che si esprime unicamente nella teoria della «parità di diritti»,
appartiene per sua natura alla decadenza: l'abisso tra uomo e uomo, classe sociale e classe
sociale, la molteplicità dei tipi, la volontà di essere se stessi, di risaltare -, ciò che io chiamo
pathos della distanza, è proprio di ogni epoca forte. La tensione, la distanza tra gli estremi
diventano oggi sempre più piccole, - gli estremi stessi si cancellano sino a somigliarsi... Tutte
le nostre teorie politiche e costituzioni statali, non escluso affatto il «Deutsches Reich», sono
conseguenze, necessarie conseguenze della decadenza; l'inconsapevole effetto della
décadence si è impadronito sinanche degli ideali di singole scienze. La mia obiezione a tutta
quanta la sociologia di Francia e Inghilterra resta che essa conosce per esperienza solo gli
aspetti decadenti della società, e in piena innocenza considera i propri istinti di decadenza
come norma del giudizio sociologico di valore. La vita che decade, la perdita di ogni forza
organizzatrice, vale a dire di ogni forza che separi, che spalanchi abissi, che subordini e
sovrordini, diventa nella sociologia di oggi la formula dell'ideale... I nostri socialisti sono
décadents, ma anche il signor Herbert Spencer è un décadent, - egli vede nella vittoria
dell'altruismo qualcosa di auspicabile!...
38.
Il mio concetto di libertà. - Talvolta il valore di una cosa non sta in ciò che con essa si
ottiene, ma in ciò che per essa si paga - in quello che ci costa. Faccio un esempio. Le
istituzioni liberali cessano di esser liberali non appena le si è ottenute: non esistono allora
istituzioni che, più di quelle liberali, danneggino così radicalmente la libertà. Si sa quello che
esse portano: minano la volontà di potenza, sono il livellamento, elevato a morale, di
montagne e valli, rendono piccoli, vili e gaudenti - con esse trionfa ogni volta l'animale da
gregge. Liberalismo: in tedesco, trasformazione in bestie da gregge... Sinché ancora si lotta
per ottenerle, queste stesse istituzioni producono effetti completamente diversi; allora
promuovono davvero, possentemente, la libertà. A meglio osservare, è la guerra che produce
questi effetti, la guerra per le istituzioni liberali, la quale, in quanto guerra, fa perdurare gli
istinti illiberali. E la guerra educa alla libertà. Che cos'è infatti libertà? Possedere la volontà
di essere autoresponsabili. Mantenere la distanza che ci separa. Diventare più indifferenti alle
difficoltà, alle avversità, alla privazione, e anche alla vita. Essere pronti a sacrificare degli
uomini alla propria causa, senza escludere se stessi. Libertà significa che gli istinti virili, lieti
di guerra e di vittoria, prevalgono su altri istinti, per esempio su quelli della «felicità».
L'uomo diventato libero, e tanto più lo spirito diventato libero, calpesta la spregevole specie
di benessere di cui sognano i bottegai, i cristiani, le mucche, le femmine, gli Inglesi e gli altri
democratici. L'uomo libero è guerriero. - In base a che si misura la libertà, negli individui e
nei popoli? In base alla resistenza che dev'esser superata, alla fatica che costa rimanere in