Page 129 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
P. 129

Siamo diventati più morali? - Contro il mio concetto di «al di là del bene e del male» è

      scesa in campo, come c'era da aspettarsi, tutta la ferocia  dell'instupidimento  morale  che  in
      Germania, com'è noto, passa per essere la morale stessa: a tale proposito avrei da raccontare
      graziose  storielle.  Mi  si  diede  soprattutto  da  considerare  1'«innegabile  superiorità»  della
      nostra epoca nel giudizio morale, il progresso qui realmente compiuto: paragonato a noi, un
      Cesare Borgia non sarebbe affatto da presentare come un «uomo superiore», come una specie
      di superuomo, come faccio io... Un redattore svizzero, del «Bund», non senza esprimere il suo
      rispetto per tanta audacia, si è spinto tanto in là da comprendere il senso della mia opera nel

      suo proporre la eliminazione di tutti i nobili sentimenti. Obbligatissimo! - come risposta, mi
      permetto di sollevare la questione se noi siamo realmente diventati più morali. Il fatto che
      tutti  lo  credano  è  già  un'obiezione...  Noi  uomini  moderni,  molto  sensibili,  vulnerabili,  che
      usiamo e pretendiamo cento riguardi, ci figuriamo in effetti che questa delicata umanità che
      rappresentiamo,  questa  raggiunta  unanimità  nell'indulgenza,  nella  soccorrevolezza,  nella
      reciproca fiducia, sia un progresso positivo, grazie al quale saremmo molto al di sopra degli

      uomini  del  Rinascimento.  Ma  ogni  epoca  pensa  così,  deve  pensare  così.  Certo  è  che  non
      potremmo calarci, e neppure pensarci, nelle condizioni del Rinascimento: i nostri nervi non
      reggerebbero quella realtà, per non parlare dei nostri muscoli. Ma questa incapacità non è
      affatto prova di un progresso, bensì soltanto di un'indole diversa, più tarda, di un'indole più
      debole, più delicata, più vulnerabile, dalla quale necessariamente si produce una morale ricca
      di  riguardi.  Ma  se  pensassimo  la  nostra  delicatezza  e  tardività,  il  nostro  invecchiamento
      fisiologico come non esistenti, anche la nostra morale dell'«umanizzazione» perderebbe subito

      il  suo  valore  -  nessuna  morale  ha  valore  in  sé  -:  essa  ispirerebbe  disprezzo  a  noi  stessi.
      D'altra parte, non dubitiamo che noi moderni, con la nostra umanità spessamente ovattata, che
      non vuole urtare nemmeno contro una pietra, ai contemporanei di Cesare Borgia offriremmo
      una commedia da morir dal ridere. In realtà siamo involontariamente oltremodo spassosi, con
      le nostre moderne «virtù»... Il decadimento degli istinti ostili e suscitatori di diffidenza - e

      questo  sarebbe  il  nostro  «progresso»  -  rappresenta  soltanto  una  delle  conseguenze  del
      generale  decadimento  della  vitalità:  costa  cento  volte  più  fatica,  più  attenzione  far  valere
      un'esistenza così condizionata, così tarda. Allora ci si aiuta a vicenda e ciascuno è, sino a un
      certo grado, ammalato e infermiere. Questo allora si chiama «virtù» -: tra uomini che ancora
      conobbero una vita diversa, più piena, più prodiga, più traboccante, lo si sarebbe chiamato
      diversamente,  «viltà»  forse,  «miserevolezza»,  «morale  da  vecchie  donnette»...  Il  nostro
      ingentilimento  dei  costumi  -  questo  è  il  mio  principio,  questa  è,  se  si  vuole,  la  mia
      innovazione  -  è  un  effetto  della  decadenza;  la  durezza  e  la  terribilità  dei  costumi  può  al

      contrario  essere  effetto  della  sovrabbondanza  di  vita:  in  tal  caso  infatti  si  può  anche
      arrischiare  molto,  sfidare  molto,  e  anche  dissipare  molto.  Quello  che  una  volta  era  il  sale
      della vita, per noi sarebbe veleno... Per l'indifferenza - anche questa è una forma di forza -
      siamo  ugualmente  troppo  vecchi,  troppo  tardivi:  la  nostra  morale  della  compassione,  dalla
      quale io per primo ho messo in guardia, quello che si potrebbe chiamare l'impressionisme

      moral, è un'espressione in più della sovreccitabilità fisiologica che è propria di tutto ciò che è
      décadent. Quel movimento che con la morale schopenhaueriana della compassione ha tentato
      di darsi una presentazione scientifica - un tentativo assai infelice! -, è il vero movimento di
      décadence nella morale e, come tale, profondamente affine alla morale cristiana. Le epoche
   124   125   126   127   128   129   130   131   132   133   134