Page 89 - Keplero. Una biografia scientifica
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costruzione di modelli astronomici, avevano ideato alcune
«scappatoie matematiche». Si poteva, come aveva fatto
Tolomeo, considerare un equante, ovvero un punto situato sulla
linea degli apsidi (la linea immaginaria che unisce l’afelio A e il
perielio P), dal quale il moto era visto come uniforme. Se si
immagina un oggetto che si muove più lentamente in A e più
velocemente in P, basta spostare l’osservatore in un punto
opportuno, situato tra i due estremi ma più vicino ad A, perché
questo «creda» di assistere a un moto uniforme. La velocità
lineare dell’oggetto rimane irregolare, ma la sua velocità
angolare, rispetto all’osservatore nel punto equante, è ora
uniforme. L’altra soluzione consisteva nel considerare il sistema
formato da alcuni epicicli in connessione con un deferente.
Questa era stata la scelta adottata nell’antichità da Ipparco, e poi
ripresa da Copernico.
Keplero, già nel Mysterium, sostiene che la variazione di
velocità che risulta dalle osservazioni è strettamente legata a
quella che egli chiama «ipotesi fisica», ovvero alla convinzione
che il Sole causa un movimento con velocità inversamente
proporzionale alla distanza: il pianeta varia quindi la propria
velocità per conseguenza di una periodica variazione di distanza
dal Sole. Per tentare di ricondurre a un modello preciso questo
moto complesso, Keplero attinge agli strumenti allora
disponibili. Si dichiara addirittura disposto, purché si riconosca
nel Sole la «fonte del moto della Terra» e la «fonte del moto
degli altri cinque pianeti», a tornare agli equanti, che
nell’opinione comune erano stati invece superati da Copernico.
Lo schema originale di Tolomeo viene però profondamente
rivisto, dando origine a una teoria che prende il nome di