Page 178 - Keplero. Una biografia scientifica
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bensì ai particolari rapporti matematici esistenti tra le loro
frequenze. Qui per «rapporto» si intende non una relazione
qualsiasi, ma la frazione che si ottiene considerando come
numeratore e denominatore le frequenze rispettive dei due
suoni, e che, nel caso della consonanza, è riducibile a una
frazione semplice. Proprio per il piacere che provoca in chi la
ascolta, la consonanza costituisce l’elemento cardine della
composizione musicale di quasi ogni cultura, come testimonia la
produzione musicale a noi pervenuta da secoli o popoli
differenti.
Il numero degli intervalli considerati consonanti non è però
rimasto costante nel corso dei secoli, ma è cresciuto seguendo
l’evoluzione del gusto musicale. Così, mentre per i pitagorici
erano consonanti solo l’unisono, l’ottava, la quarta e la quinta, ai
tempi di Keplero erano accettate anche le terze, maggiori e
minori, e le seste, maggiori e minori. Si noti che tale
arricchimento era avvenuto in maniera tutt’altro che indolore,
attraverso una vera e propria rivoluzione musicale. I primi
manifesti dell’esigenza di rinnovamento in campo musicale
erano stati due trattati dal titolo quasi identico: l’Ars novae
musicae del 1319, di Johannes de Muris, matematico e
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astronomo alla Sorbona, e l’Ars nova del 1320, di Philippe de
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Vitry, anch’egli docente umanista alla Sorbona . La reazione
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della Chiesa fu immediata: nel 1324 Papa Giovanni XXII emise
una bolla papale, la Docta sanctorum patrum, in cui esprimeva
una chiara condanna nei confronti dei musicisti che
utilizzavano la «nuova musica». In seguito la consonanza delle
terze venne comunque accettata, soprattutto grazie alla musica
quattrocentesca fiamminga, di cui un eccezionale esponente fu