Page 38 - Keplero. Il cosmo come armonia di movimenti
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all’epoca  detiene  una  magnifica  ricchezza  di  osservazioni:  il  matematico
        dell’imperatore Rodolfo II, Tycho Brahe.




        L’OTTICA E LA DIOTTRICA



        Keplero dedicherà due importanti opere allo studio dell’ottica e delle sue applicazioni.
        Tra le due pubblicazioni trascorrono meno di dieci anni, ma le differenze sono rilevanti
        perché  in  quell’intervallo  di  tempo  avviene  un  evento  sconvolgente:  Galilei  punta  il
        telescopio al cielo e lo utilizza come strumento di scienza.
             L’interesse  per  l’ottica  nasce  in  Keplero  nel  1600,  quando  inizia  a  lavorare  per

        Tycho e viene a conoscenza delle problematiche legate alle osservazioni sperimentali.
        Per esempio, la misura delle dimensioni e della posizione dei corpi celesti può essere
        influenzata  dall’atmosfera  terrestre  e  dalle  sue  condizioni;  o,  ancora,  le  dimensioni
        della Luna sembrano diminuire durante le eclissi. Keplero si rende conto di come una
        migliore  comprensione  dell’ottica  sia  fondamentale  per  aumentare  la  precisione  e
        l’affidabilità  dei  dati  astronomici  e,  in  parallelo  allo  studio  dell’orbita  di  Marte,  si

        dedica a questa disciplina per lui nuova, raggiungendo importanti risultati nell’ottica
        fisica,  sia  teorica  sia  sperimentale,  e  nell’ottica  fisiologica.  Il  suo  punto  di  partenza
        sono due opere, quella dello studioso persiano Alhazen del X-XI secolo e quella del
        polacco  Vitellio  (Erazmus  Ciolek  Witelo,  del  XIII  sec.),  che  si  erano  ampiamente
        diffuse in occidente quando nel 1572 erano state date alle stampe a Basilea.
             L’Ottica  (1604)  è  composta  da  due  parti,  la  prima  destinata  all’ottica  pura,  la
        seconda  alle  sue  applicazioni.  Uno  dei  temi  principali  è  quello  della  natura  e  della

        propagazione della luce. La luce, scrive Keplero, deve avere velocità infinita, perché la
        velocità è inversamente proporzionale al peso e la luce non ha peso. La luce è però una
        forma di calore, per cui un corpo, se illuminato, è sempre in qualche modo riscaldato.
        La luce, leggiamo ancora, si espande su sfere concentriche la cui area aumenta con il
        quadrato  della  distanza,  così  che  l’intensità  luminosa,  allontanandosi  dalla  sorgente,
        diminuisce con il quadrato della distanza.

             Per  analizzare  la  propagazione  della  luce  e  i  fenomeni  ottici,  Keplero  anticipa
        quella  che  oggi  chiamiamo  ottica  geometrica  e  ipotizza  che  la  luce  viaggi  lungo
        segmenti di rette; questo perché egli ritiene che, essendo la retta la linea più breve che
        congiunge due punti, essa sia la più adatta a descrivere una interazione tra due corpi.
        Questo modello di raggi luminosi serve poi a Keplero per descrivere tutta una serie di
        fenomeni, tra cui la riflessione degli specchi piani e curvi, la rifrazione attraverso mezzi
        di densità differenti, la messa a fuoco delle immagini.

             Nell’analisi di questi fenomeni egli incontra una famiglia di curve, dette coniche
        perché  si  possono  ottenere  sezionando  un  cono.  Esse  erano  note  già  agli  antichi
        matematici  greci  e  comprendono,  oltre  alle  classiche  circonferenze,  anche  parabole,
        ellissi, iperboli. Tuttavia Keplero, nelle pagine dell’Ottica, le tratta in maniera inedita,
        evidenziando come sia possibile passare con continuità da un tipo di curva all’altro. In
        particolare, assegna un nome ad alcuni loro punti particolarissimi, che chiama fuochi, e

        che hanno la proprietà di raccogliere i raggi provenienti da una sorgente posta in un
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